mercoledì 20 gennaio 2016

La Stampa 20.1.16
Il Senato vota la sua eutanasia e la parola passa ai gazebo
I 5 Stelle mobilitano il web e puntano al referendum. Nascono a destra i “comitati del no”Stasera il voto definitivo in un’aula distratta e rassegnata al proprio dissolvimento
A Palazzo Madama alle 17 inizieranno le dichiarazioni di voto sulla riforma Boschi che mette fine al bicameralismo perfetto, e già per le 20 dovrebbe essere tutto finito
di Ugo Magri

Stasera il Senato celebra le proprie esequie. Alle 17 in punto inizieranno le dichiarazioni di voto sulla riforma Boschi che mette una croce sopra al bicameralismo perfetto, e già per le 20 se ne andranno tutti quanti a cena. Non ci sarà una prossima volta perché questa è davvero l’ultima in cui l’aula di Palazzo Madama è chiamata a decidere il proprio destino, dopodiché la parola passerà alla Camera e infine al popolo sovrano nel referendum confermativo di metà ottobre. Oggi non c’è nemmeno la suspense del risultato in quanto l’asticella dei 161 sì, richiesti dalla procedura di revisione costituzionale, verrà abbondantemente superata. L’unico dubbio che rimane può intrigare al massimo gli appassionati della politica politicante, se cioè l’apporto dei 17 verdiniani di Ala risulterà solo utile o piuttosto indispensabile per il passaggio della riforma cui Renzi tiene sopra ogni altra cosa: a seconda della risposta, scatterà o meno un «bonus» che Ala potrà incassare sotto forma di vice-presidenze delle Commissioni. Guarda combinazione, queste poltroncine verranno rimescolate proprio domani in un clima di «do ut des» (il leghista Calderoli, fingendosi scandalizzato, evoca addirittura un «mercato delle vacche»).
E dire che dovrebbe trattarsi di un passaggio storico. Per 178 anni, grandi personaggi della nostra politica si sono accomodati su quegli scranni dove dal 2018 prenderanno posto semplici rappresentanti delle Regioni. L’Italia volta pagina nel nome della modernità. Ma per rispetto se non altro di quei fantasmi, ci si sarebbe attesi ben altro pathos, un tono più intenso del dibattito incominciato ieri con le tribune deserte, l’emiciclo semi-vuoto e un’aria di stanca rassegnazione. Basti dire che alle 15,45 sui banchi del governo c’era soltanto Maria Elena Boschi. E quando la ministra si è alzata per colloquiare con Anna Finocchiaro, nessuno le ha dato il cambio. Del resto, la lotta dal Parlamento si è già trasferita altrove: sul web, nelle piazze vere o virtuali della campagna referendaria. I Cinque Stelle sono stati i più lesti a comprenderlo, tant’è vero che i lavori d’aula vengono trasmessi in diretta streaming sul sito di Grillo. Ogni senatore M5S declamerà nel proprio intervento i pensieri di iscritti e simpatizzanti. Il relativo video sarà sparato su Facebook, nella speranza di sollevare onde d’urto contro la riforma, in quanto è sui social network che si vincerà o perderà la «madre di tutte le battaglie», come l’ha definita a ragione il premier citando (forse senza volere) il Rais iracheno Saddam Hussein. Non per nulla Renzi si affiderà alle arti di Jim Messina, il guru della nuova comunicazione che aiutò Obama a rivincere nel 2012.
Profuma di Novecento, invece, la campagna degli altri protagonisti. I quali mettono in piedi i Comitati del No come se si trattasse di un referendum abrogativo, con le 500mila firme da raccogliere, e i cancellieri di Tribunale per autenticarle, e i moduli compilati da recare in Cassazione... In questo caso però le firme dei cittadini non occorrono in quanto sono sufficienti quelle di 126 deputati o di 64 senatori. E ai fini pratici i Comitati servono ormai solo per occupare alcuni (pochi) spazi in tivù, oppure per mettere in vetrina qualche illustre testimonial. Oggi di Comitati per il No ne nasceranno due. Uno a nome dell’intero centrodestra, unito sotto la presidenza di due ex giudici della Consulta (Annibale Marini e Alfonso Quaranta). L’altro nuovo Comitato, sempre per il No, nascerà per iniziativa di Luigi Compagna, di Carlo Giovanardi, di Mario Mauro e di altri centristi come i tre appena citati. Nel pomeriggio faranno udire la loro voce anche gli oppositori da sinistra della riforma, da Stefano Rodotà a Gustavo Zagrebelsky, anche loro riuniti in Comitato: anzi, per la cronaca sono stati i primi a farsi venire l’idea.