mercoledì 20 gennaio 2016

Corriere 20.1.16
Martin Kobler
«Corridoi umanitari per la Libia»
di Paolo Valentino

«Subito corridoi umanitari per la Libia». Lo dice al Corriere il diplomatico tedesco Martin Kobler (nella foto piccola) , l’inviato speciale delle Nazioni Unite che guida la mediazione internazionale in Libia nel giorno in cui nasce il governo di unità nazionale. «Il progresso fatto nel Consiglio presidenziale mi ha sorpreso. Ma ho qualche dubbio che sia Tobruk che Tripoli abbiano la volontà politica di fare la cosa giusta. Si può avere la migliore intesa, ma se non c’è volontà politica non si va proprio da nessuna parte». (Nella foto grande, diffusa da una fonte islamista, una colonna d’auto dell’Isis in marcia sul litorale intorno a Sirte)
ROMA «Sono realista. Il progresso fatto nel Consiglio presidenziale mi ha sorpreso. Ma ho qualche dubbio che sia Tobruk che Tripoli abbiano la volontà politica di fare la cosa giusta. Qui non si tratta di stabilire se sia un buon o un cattivo accordo. Si può avere la migliore intesa, ma se non c’è volontà politica non si va da nessuna parte. Ci sono inconsistenze anche in questo accordo. Ma la questione è: hanno i dirigenti libici la visione di un Paese dove i loro figli e nipoti possano vivere in pace, sicurezza e prosperità? Alcuni, ne dubito. Ma io non rinuncio allo sforzo di convincerli a darsela questa visione per il futuro, a non guardare al passato, ma in avanti».
Il diplomatico tedesco Martin Kobler è l’inviato speciale delle Nazioni Unite che guida la mediazione internazionale in Libia.
Qual è la prossima tappa?
«Ora l’accordo deve essere sottoposto alla Camera dei Rappresentanti a Tobruk, che ha 10 giorni per approvarlo. Ho parlato con il presidente Aguila, che deve ora convocare una seduta plenaria, invitando tutte le diverse fazioni, anche quelle che boicottano. E noi siamo in contatto con tutti per aiutarlo a riuscire».
Ma all’appello mancano due membri del Consiglio presidenziale, che non hanno sottoscritto l’intesa.
«La road-map parla chiaro. Anche il dissenso di due membri ci può stare. E’ previsto che ci siano due tentativi di raggiungere un accordo per consenso, ma poi deve esserci un voto a maggioranza, a condizione che il presidente sia d’accordo con ogni nome sulla lista».
E il Parlamento di Tripoli?
«E’ ancora un problema, perché Nouri Abusahmain e i gruppi che si riconoscono in lui respingono l’accordo. Ho avuto con loro una discussione franca e a tratti anche dura, il mio messaggio è stato chiaro. Ci sono 5 principi in base ai quali organizzare tutto: l’accordo politico deve essere la base di ogni cosa. Nessuna iniziativa parallela, senza l’Onu. Una base più ampia possibile di adesioni. Un trasferimento del potere pacifico. Infine, un processo totalmente libico, dove la comunità internazionale può far solo da facilitatore. E’ normale che ci siano dissensi, è un processo politico».
Che assicurazioni ha avuto dalle milizie, appoggeranno l’accordo e il nuovo governo?
«Siamo in contatto permanente con le milizie, in particolare attraverso il generale Serra. Il quadro è complicato, c’è chi appoggia e chi no. Ma un governo non può essere protetto dalle milizie, bensì da forze regolari, esercito, polizia, guardie di frontiera. Una volta insediato l’esecutivo di unità nazionale le milizie dovranno essere disarmate o integrate».
Ma questo governo è abbastanza inclusivo?
«Questo governo è molto criticato, ma non posso immaginarmi una lista di ministri che venga applaudita da tutti. Se saranno ritenuti necessari dei cambiamenti verranno fatti».
La situazione della sicurezza continua a peggiorare: ci sono stati attacchi dell’Isis a installazioni e perfino un fallito attentato al premier designato Fayez al Sarraj. Non è tempo di cominciare a bombardare le postazioni jihadiste prima che sia troppo tardi?
«E’ vero, il binario politico è più lento di quello militare. Le forze libiche sono divise, Isis no. E guadagna terreno ogni giorno. Ma non si può fare il secondo passo prima del primo. Il processo deve appartenere interamente ai libici, devono combattere lo Stato islamico. E solo un governo insediato può chiedere l’aiuto militare all’esterno».
Qual è la situazione umanitaria?
«Drammatica. Ci sono 2,4 milioni di persone che hanno urgente bisogno di assistenza. 1,4 milioni rischiano la fame. Il 60% delle scuole di Bengasi è chiuso dall’inizio dell’anno scolastico. Negli ospedali mancano le attrezzature mediche più elementari. E’ una vergogna per un Paese così ricco. Oggi ho proposto che intanto vengano concordati dei cessate il fuoco umanitari a intervalli regolari, tipo ogni lunedì, per consentire l’ingresso degli aiuti. Potrebbero cominciare subito. Ho avuto accoglienza positiva. Vedremo».
Cosa si aspetta l’Onu dall’Italia?
«L’Italia sta giocando un ruolo di primo piano. Ed è importante continui nel suo impegno. Se questa lista di ministri è stata presentata nell’arco di appena 40 giorni, una velocità impensabile in molti dei nostri Paesi, è anche grazie al forte lavoro di incoraggiamento fatto dall’Italia».