martedì 19 gennaio 2016

La Stampa 19.1.16
Boschi
“Il padre del ministro si mosse senza il Cda”
di G. Pao.

Il nome per guidare Banca Etruria che avrebbe messo d’accordo tutti c’era già, quello di Alfredo Pallini. Nato nella Vigilanza di Bankitalia, passato poi alla guida della tribolata Popolare di Spoleto e da lì all’Autorità d’informazione finanziaria del Vaticano e approdato infine all’Istituto centrale delle banche popolari, il suo curriculum era perfetto per andare a occupare la casella di direttore generale dell Popolare Etruria nella primavera del 2014. Bankitalia spingeva per il ricambio ma all’ultimo momento, quando c’era già l’accordo economico e il suo nome era pronto per essere portato in cda, Pallini si ritira. Siamo tra maggio e giugno del 2014 e, secondo quanto ricostruito con una serie di testimoni di quelle vicende, matura proprio in questa fase il contatto tra Pierluigi Boschi, vicepresidente della banca, e il faccendiere sardo Flavio Carboni. Contatti dei quali il cda non era stato informato, assicurano le fonti, per i quali Boschi non aveva un mandato esplicito ma si muoveva piuttosto coordinandosi con Lorenzo Rosi, appena nominato presidente e investito, lui sì, del mandato di cercare il nuovo dg. Il nome di Fabio Arpe arriva in cda solo in seguito alle indiscrezioni pubblicate da alcuni giornali, che fecero il suo nome come possibile candidato, ricorda un ex consigliere. «A quel punto ci fu una discussione informale, dalla quale emerse che in effetti la candidatura era sta vagliata», ricorda una delle fonti. Ma intanto il consiglio aveva già dato un mandato ad un cacciatore di teste, Spencer Stuart, per selezionare i candidati potenziali. «E su quei nomi ci fu poi anche un confronto con Bankitalia». Il ruolo di Carboni? «Se avessi saputo che se ne stava occupando il Boschi gli avrei detto “Pierluigi, lascia stare che non sei capace di fare queste cose”», dice uno dei testimoni. Appartenenze massoniche? «Contavano fino ad un certo punto», racconta. Con il passaggio della presidenza dal massone Elio Faralli al cattolicissimo e in odore di Opus Dei Giuseppe Fornasari cambiano gli equilibri del potere all’interno dell’istituto. «In consiglio c’erano dei massoni? Senz'altro, ma erano ormai personaggi deboli, portati da Faralli che non voleva rivali interni», racconta ancora un ex.