Corriere 19.1.16
Ferramonti su Etruria: portai io Arpe da Carboni. Ma il manager nega
di Fabrizio Caccia
ROMA
Umberto Bossi lo chiamava «l’uomo della Cia», quando Gianmario
Ferramonti — primi anni Novanta — era ancora l’amministratore della
Pontidafin, la finanziaria della Lega Nord. Nel ‘96 finì addirittura in
carcere, accusato dalla Procura di Aosta di essere la mente di «Phoney
Money», megatruffa da ventimila miliardi di lire. Nove anni dopo, però,
fu scagionato completamente. Ma gli intrecci e gli intrighi gli son
sempre piaciuti e anche oggi, a 62 anni, evidentemente si applica alla
materia, se è vero che il suo nome — insieme a quello di Flavio Carboni —
spicca al centro dell’ultimo mistero legato a Banca Etruria.
A
tirarlo in ballo è un imprenditore massone sardo-toscano, Valeriano
Mureddu, sedicente collaboratore dei servizi segreti: «Fu Ferramonti —
racconta Mureddu — a suggerire nell’estate del 2014 a Flavio Carboni il
nome di Fabio Arpe come possibile direttore generale di Banca Etruria,
dopo che io avevo chiesto consiglio allo stesso Carboni, a cui mi lega
una stima enorme, per aiutare il mio amico Pier Luigi Boschi, papà della
ministra, all’epoca vicepresidente della banca».
Su Mureddu oggi
indaga la Procura di Perugia, tesa a far luce su una presunta
associazione segreta in Val di Chiana specializzata nella fabbricazione
di dossier su imprese e persone. «Ma io non conosco Mureddu e non sono
massone, pur essendo stato amico di Licio Gelli e di tanti altri», dice
Ferramonti in questo gioco di specchi, dove tutti smentiscono tutti e la
verità vera chissà dov’è. Perché invece lui stesso afferma di conoscere
bene Flavio Carboni — il presunto capo della presunta P3 — e conferma
di avergli fatto il nome di Arpe per Banca Etruria. Definisce Arpe «il
nostro banchiere di famiglia», ma lo smentisce: «Sono rimasto di stucco
quando ho letto sul Corriere che il banchiere milanese sostiene di non
aver mai visto nè incontrato Carboni. Perché non è vero! Perché Fabio
Arpe lo portai io a Roma per presentarlo a Flavio Carboni nell’ufficio
di via Ludovisi. Accadde prima che venisse commissariata la banca...».
L’ufficio di via Ludovisi 16, al secondo piano, è lo stesso dove Arpe —
il dettaglio ieri è stato fornito dall’ entourage del banchiere —
racconta di aver incontrato ai primi di luglio del 2014 l’allora
presidente di Banca Etruria Lorenzo Rosi e il suo vice Boschi. Ma è
anche lo stesso ufficio in cui dice di lavorare Mureddu (che Ferramonti
però dice di non conoscere!) e dove, sempre secondo l’imprenditore
massone, sarebbero avvenuti i due brevi incontri da lui sponsorizzati
tra Boschi e Carboni.
È l’ufficio, lo ricordiamo, di Viktor
Ivanovich Petrik, scienziato russo esperto di nanotecnologie con cui
collabora Mureddu ma anche, per sua stessa ammissione, Flavio Carboni,
impegnato da 9 anni in un misterioso progetto comune sulla depurazione
delle acque. L’ entourage di Arpe esclude però categoricamente
l’incontro con Carboni in via Ludovisi: «Il banchiere, all’epoca, fece
un’unica trasferta romana per avere il colloquio di lavoro con Rosi e
Boschi».
«Ma non c’ero io con loro — aggiunge Ferramonti, che
smentisce anche quest’altra circostanza —. Forse Arpe vuole tener
nascosto l’incontro con Carboni perché gli avranno detto che potrebbe
rappresentare un pericolo per il suo luminoso avvenire di banchiere...».
La
chiosa velenosa, però, viene respinta al mittente: «Dopo 12 anni di
inchieste terminate con 6 archiviazioni su 6 — replicano i collaboratori
di Arpe — davvero il futuro non lo spaventa. Può essere che in
quell’ufficio non ci fosse Ferramonti, visto che son passati due anni e
la memoria può trarre in inganno, ma Boschi e Rosi c’erano di sicuro. E
la sostanza non cambia ».