La Stampa 19.1.16
Sospendiamo Schengen per salvarlo
di Bill Emmott
Secondo
Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, il collasso
dell’area Schengen, la zona di libera circolazione dei cittadini,
distruggerebbe il mercato unico e l’euro. Ora che anche l’Austria si è
unita ai Paesi europei che hanno reintrodotto i controlli alle
frontiere, questo collasso potrebbe essere più prossimo di quanto possa
immaginare. Sarebbe meglio, a questo punto, se prendesse lui
l’iniziativa: una sospensione organizzata, concordata di Schengen
sarebbe molto meglio dell’attuale disordine, del processo di divisione
in corso. È tempo di sospendere Schengen per salvarlo.
La
credibilità, come di certo Juncker sa bene, è vitale per tutti i
politici e i governanti. L’anno scorso il flusso di oltre di un milione
di immigrati e richiedenti asilo che ha attraversato i confini
dell’Unione europea, accolto solo da indecisione, mezze misure e spesso
caos, ha già inferto un duro colpo alla credibilità dell’Ue. Quest’anno
ne arriverà almeno un altro milione, sia in Italia, per mare, attraverso
il Mediterraneo, vuoi per via terra passando dalla Turchia. La fiducia
nell’Unione nel suo insieme o nei confini nazionali è a pezzi.
Ecco
perché Schengen è ormai indifendibile – o per dirla con parole diverse,
già sconfitto. La risposta dell’Unione europea alla crisi dei migranti,
grazie alle profonde divisioni esistenti tra i governi nazionali, è
consistita fin qui in una serie piuttosto patetica di mezzi accordi che
nessuno si aspetta seriamente che entrino pienamente in vigore: intese
per ridistribuire i rifugiati pro quota, per creare una polizia di
frontiera europea, per implementare l’Accordo di Dublino che stabilisce
per i richiedenti asilo l’obbligo di registrazione nel Paese d’arrivo. A
queste condizioni continuare a pensare al libero movimento di persone e
mezzi senza controlli di frontiera significa solo coltivare
un’illusione.
Ciò che occorre, innanzitutto, è far rinascere la
fiducia nell’Unione europea, e per questo bisogna mettere fine alle
divisioni e alle accuse reciproche fra gli Stati membri. Per avviare
questo percorso, la Commissione europea, con il supporto cruciale della
Germania, deve far partire una specie di processo di pace fra gli Stati
membri e la piena sospensione di Schengen sarebbe un’ottima base di
partenza. Facciamo tutti la stessa cosa, sarebbe il messaggio di
un’iniziativa del genere, con termini condivisi e modalità comuni:
possiamo quindi smetterla di accusarci a vicenda.
I francesi
dicono: «Indietreggiare per prendere meglio lo slancio». Certo, sarebbe
un peccato dover di nuovo mostrare il passaporto passando il confine fra
Italia e Francia. Ci sarebbe un costo economico da pagare per
ripristinare i controlli dei camion alle frontiere e più burocrazia. Ma
ne varrebbe la pena se tutto ciò potesse essere usato come base per un
accordo europeo destinato a garantire l’indirizzo di molte più risorse
ai compiti di sorveglianza e monitoraggio dei confini esterni dell’Ue e
alla realizzazione di centri adeguati e umani per l’accoglienza dei
richiedenti asilo.
La Germania, al solito, pagherebbe di più, e
sarebbe vista come il Paese più impegnato. È la generosa politica
umanitaria delle porte aperte inaugurata dal cancelliere Angela Merkel
largamente e giustamente biasimata per la rapida accelerazione impressa
negli ultimi sei mesi all’immigrazione. Anche gli esperti in materia
dell’Onu convengono sul fatto che offrire una tale accoglienza significa
semplicemente incoraggiare i rifugiati a muoversi, rischiando così la
vita.
Perciò il presidente Juncker e la cancelliera Merkel devono
guidare congiuntamente questo processo: sospendere Schengen e dare il
via a un nuovo fondo capace di affrontare la crisi dei migranti.
L’alternativa rischia davvero di essere il collasso dell’intera Unione
Europea.
Traduzione di Carla Reschia