La Stampa 19.1.16
Dodici ore prima del rapimento Moro chiese aiuto alla polizia
La commissione parlamentare: temeva per sé, presto nuove rivelazioni
di Fabio Martini
Allarme, 25 giorni prima
Da
decenni l’enigma resta senza risposte chiare: è mai possibile che non
scattò nessun allarme preventivo nelle settimane che precedettero
l’assalto a Moro e alla sua scorta? La Commissione di indagine ha
compiuto diverse scoperte. La prima è un documento, rimasto secretato
per 37 anni. Il 18 febbraio 1978 (l’azione Br scatterà 25 giorni più
tardi, il 16 marzo) un agente dei Servizi di stanza a Beirut scrive un
cablogramma ai superiori di Roma, nel quale riferisce quanto appreso da
un suo «abituale interlocutore» del Fronte per la liberazione della
Palestina Habbash: «Organizzazioni terroristiche europee» si sono
riunite per pianificare «una operazione terroristica di notevole portata
che potrebbe coinvolgere» l’Italia. Scrive nel suo rapporto, la
Commissione: «E’ evidente che se fosse accertata una relazione con il
sequestro Moro, il documento aprirebbe prospettive allo stato
imprevedibili», a partire dal fatto che occorrerebbe «riconoscere che si
era in presenza di un quadro di elevata allerta, i cui segnali furono
probabilmente percepiti dallo stesso Moro». Perché alla Commissione
ritengono che l’autore del cablogramma possa essere stato Stefano
Giovannone, l’uomo di Moro in Medio Oriente. Che evidentemente avvisò,
oltre ai superiori, il suo leader di riferimento. I superiori
“sottovalutarono”. E Moro?
Moro chiede aiuto
E qui scatta la
seconda scoperta. La Commissione ha rinvenuto negli archivi della
Polizia una relazione di Domenico Spinella, dirigente della Digos, nella
quale si dà conto di un incontro riservatissimo svoltosi nello studio
di Aldo Moro la sera del 15 marzo 1978 (mancano 12 ore all’azione
brigatista) e in quella occasione il presidente della Dc fece sapere di
ritenere urgente l’attivazione di «un servizio di vigilanza a tutela
dell’ufficio di via Savoia». Ma la relazione del dottor Spinella al
Questore - ecco un altro punto oscuro - è datata 22 febbraio 1979, ben
undici mesi dopo l’attentato e oggi se ne capisce la ragione: è stata
scritta d’urgenza, dopo un articolo uscito quel giorno sul “Secolo XIX” e
relativo ad un generico timore di Moro per un attentato. Sostiene il
presidente della Commissione Fioroni: «Trentasette anni dopo abbiamo
scoperto questa relazione “post-datata”, dalla quale apprendiamo con
certezza che Moro, poche ore prima di essere colpito, aveva chiesto
tutela. Nella relazione è scritto che non avrebbe chiesto aiuto per sé e
per la sua scorta ma per il suo ufficio. Ma oramai sappiamo che Moro
era preoccupato per sé e non per le sue carte. Come confermato da altri
dati: per esempio abbiamo appreso che in quei giorni il maresciallo
Leonardi chiese improvvisamente più caricatori e altri particolari
emergeranno prossimamente». Per esempio che la mattina del 16 marzo Aldo
Moro non volle portare con sé il nipotino, come faceva quasi sempre?
Lo “scatto” della Digos
La
Commissione ha scoperto che una “Alfasud” presente in via Fani dopo
l’attentato e della quale per decenni non si era individuata la
proprietà, apparteneva allo stesso dirigente della Digos che il giorno
prima aveva raccolto l’allarme di Moro. La Commissione ha scoperto che
la mattina del 16 marzo il dottor Spinella fu tra i primi ad arrivare in
via Fani. Ma con qualche probabilità (anche se non con certezza),
l’arrivo tempestivo sulla scena dell’attentato è determinato da quella
che viene definita «una partenza “anticipata”». L’attentato scatta in
via Fani alle 9,03, ma come ha raccontato alla Commissione Emilio
Biancone, che allora svolgeva il compito di autista, l’Alfasud della
Digos parte dalla Questura alle 8,30, più di mezzora prima dell’assalto
brigatista. Perché tanto presto? Ansia? Senso di colpa? Consapevolezza
di una sottovalutazione?
Il bar Olivetti
Le indagini della
Commissione hanno scoperto che il bar Olivetti, davanti al quale si
svolse l’assalto a Moro, era un luogo ricco di “ambiguità”. Scrive la
Commissione: «Suscita sconcerto la totale assenza di indagini sul bar e
sul suo amministratore Tullio Olivetti», «noto agli atti della polizia
di prevenzione per essere stato coinvolto in una complessa vicenda di
traffico internazionale di armi», «nonché citato in una corrispondenza
con la questura di Bologna relativa alla presenza nei giorni antecedenti
la strage alla stazione del 2 agosto 1980». E «la gravità di simile
omissione non risulterebbe attenuata anche se si dovesse accertare che
nessun legame esiste tra il caso Moro e il complesso intreccio di
interessi, tra intelligence, criminalità organizzata, ambienti
dell’eversione, massoneria e terrorismo internazionale che ruotava
attorno alla figura di Olivetti e alle sue frequentazioni». Alla luce di
questo quadro assume una luce diversa quanto disse al telefono, il
primo maggio 1978, il deputato dc Benito Cazora: «Dalla Calabria mi
hanno telefonato per informarmi che in una foto presa sul posto quella
mattina, si individua un personaggio a loro noto». E «loro» sarebbero
personaggi legati alla ’ndrangheta.
Foto e testimoni rimossi
E
sarebbero state preziose per gli inquirenti anche tutte le foto che
furono scattate sul luogo dell’attacco, ma la Commissione denuncia che
diversi rullini «sono scomparsi». In particolare quello consegnato ad
uno dei magistrati inquirenti, che secondo una testimone tagliò cinque
negativi e restituì il resto, senza «redarre verbale». E ancora:
«Numerosi testimoni oculari sono stati del tutto ignorati dagli
inquirenti dell’epoca e le loro dichiarazioni sono state messe a verbale
per la prima volta dalla Commissione».