lunedì 18 gennaio 2016

La Stampa 18.1.16
“Chiamateli criminali non analfabeti”
Parla lo scrittore, dopo che il suo libro ZeroZeroZero è stato trovato nel covo del boss dei narcos El Chapo
“Non sono le bestie descritte in tanti gialli americani”
intervista di Mattia Feltri

Roberto Saviano, 36 anni, napoletano, un libro che fondendo letteratura e reportage ha denunciato la realtà criminale e economica della camorra. In seguito alle minacce ricevute dal clan dei casalesi, dall’ottobre del 2006 vive sotto scorta. in Italia da Feltrinelli) che racconta i cartelli sudamericani della cocaina

Una copia di ZeroZeroZero, l’ultimo libro di Roberto Saviano, è stata trovata in uno dei covi del Chapo Guzmán. Lo si nota in un video sul sito di El Universal, quotidiano messicano che, tempo fa, pubblicò un articolo nel quale Saviano specificava i rischi della mancata estradizione del Chapo negli Usa. È l’articolo più letto nel 2015 di El Universal, a testimonianza del ruolo che ricopre Saviano in Messico. Un’ottima occasione per parlare con Saviano del Chapo e dell’incontro fra criminalità e letteratura.
Una copia del suo libro nel covo del Chapo. Cosa significa?
«Difficile capirlo. Ciò che, però, bisogna sempre ricordare è che i boss non sono le bestie criminali perlopiù analfabete descritte in molti gialli americani, ma sono uomini d’affari d’esperienza che leggono, approfondiscono, studiano, analizzano e vogliono sapere cosa il mondo pensa di loro, cosa si scrive su di loro. In Messico il mio libro è stato in classifica per parecchio tempo. Credo che El Chapo fosse curioso di capire cosa avevo scritto, cosa si diceva su di lui e sul suo cartello».
Nel suo libro, lei parlava del Chapo, o di uomini o organizzazioni a lui vicine?
«Sì, racconto di come si è formato il potere dei cartelli, di come il cuore del narcotraffico si sia spostato dalla Colombia al Messico, di come i narcos messicani siano diventati “mafiosi”. Oggi il Messico è il centro della narcoeconomia e il Chapo ne è il maggiore rappresentante. El Chapo Guzmán è la dimostrazione vivente che chiamare ancora i cartelli messicani solo “narcos” è un’imprecisione. Sono mafia. La differenza? Si può semplificare così, i gangster si muovono per danaro, i mafiosi per costruire un sistema di potere (di cui il danaro è solo uno strumento). Dopo ZeroZeroZero i giornali messicani mi hanno spesso chiesto interviste e articoli su di lui, che si sono rivelati anche in qualche modo profetici, purtroppo…».
Lei scrisse del rischio di fuga del Chapo, se non l’avessero estradato.
«Esatto. Dopo la cattura del Chapo nel febbraio del 2014 avevo fatto presente in interviste ai giornali messicani la necessità e l’urgenza di estradarlo negli Stati Uniti. El Chapo era già evaso da un carcere di massima sicurezza messicano che, durante la sua prigionia, si era trasformato in una specie di sua base, perché lì dentro aveva potuto fare più o meno ciò che voleva e soprattutto aveva continuato a comandare il suo cartello. Il Messico si era più volte rivelato un territorio troppo “facile” per lui. L’estradizione negli Usa è ciò che i narcotrafficanti messicani e sudamericani considerano peggio della morte (“meglio una tomba in Colombia che una cella negli Stati Uniti”, diceva Pablo Escobar). Nonostante il Messico in quell’occasione fosse titubante a estradarlo perché voleva dimostrare al mondo di essere una democrazia capace di gestire i propri problemi, dissi che sarebbe stato rischioso non farlo, perché il governo messicano non avrebbe potuto garantire la giustizia nei suoi confronti. Cosa che fu dimostrata poco più di un anno dopo quando El Chapo scappò di nuovo dal carcere...».
Tornando aZeroZeroZero: crede che anche El Chapo subisca la fascinazione della malavita per la letteratura, oppure voleva soltanto essere informato?
«El Chapo, come tutti i narcos, adora l’attenzione locale ma teme l’attenzione internazionale, perché l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale può fargli male, fino a premere sull’estradizione, la cosa che i narcos più temono. Per questo si informa su ciò che dicono di lui e del suo cartello. Va detto, però, che non è raro che i boss leggano. Nel bunker del boss di ’ndrangheta Pasquale Condello furono trovati Cent’anni di solitudine, al camorrista Sandokan decine di saggi su Napoleone. Il boss Pietro Aglieri leggeva solo opere teologiche. Raffaele Cutolo, racconta Giò Marrazzo, aveva nella sua cella Hobbes, La repubblica di Platone, il Mein Kampf».
C’è un contatto fra il caso del suo libro e l’intervista concessa dal Chapo a Sean Penn?
«Non ne ho idea. Mi sembra che El Chapo abbia voglia di comunicare che è ancora il capo. Dal Messico mi arrivano feedback di ogni tipo: c’è chi dice che fosse preoccupato per la serie ZeroZeroZero, che è in fase di scrittura in questo momento, e volesse conoscere meglio il mio lavoro; chi dice che il suo avvocato gli avrebbe segnalato il libro come pericoloso per l’estradizione… altri dicono che era del figlio che aveva visto la mia intervista alla Cnn. Appena io sono arrivato negli Usa mi hanno chiesto se confermavo che il libro fosse autografato e dedicato a lui. Ma non sapevo nemmeno che il libro fosse autografato né ho mai fatto una dedica per El Chapo, figuriamoci. Un giornalista cileno mi ha chiesto se davvero El Chapo era una fonte del libro. Insomma, ognuno in queste ore fa fanta-ipotesi alcune verosimili altre deliranti. Ma davvero non ho idea».
Forse c’è la vanità classica dei boss che vediamo al cinema, e di cui lei ha appena scritto?
«Potrebbe essere, ma su El Chapo molti hanno scritto, non soltanto io. Se dovesse leggere chi scrive di lui dovrebbe passare il tempo a leggere… In realtà credo che il tempo che dedicano alla lettura serva ai boss per avere una visione più ampia rispetto alla visione parziale che dall’isolamento dei loro covi è inevitabile. In qualche modo, anche se sembra paradossale, i testi sulle mafie li aiutano a capire oltre il loro sguardo, non solo a monitorare quello che dicono di loro».
Ora si sente più in pericolo?
«Sinceramente no, ma so che si complicherà ancora di più la mia vita. La prova che il Chapo mi conosce forse costringerà a misure ulteriori di protezione. Ma spero che non andrà così come mi hanno preannunciato. Dopo ZeroZeroZero sapevo che ci sarebbero state maggiori tensioni. Ma in fondo ci sono abituato».