Corriere 18.1.16
I migranti e la logica tedesca
di Francesco Giavazzi
L’
accoglienza e l’inserimento dei rifugiati nella nostra società, a
prescindere dall’aspetto umanitario, è un fatto positivo per l’economia
dei Paesi dell’euro. Aprire le frontiere ai rifugiati, come ha fatto la
Germania, non solo è il modo etico per affrontare una tragedia
inesorabile, ma — a patto di rispettare le condizioni che indicherò più
avanti — aiuta l’economia europea. Questa è la ragione per cui Angela
Merkel non deflette dalla sua scelta di frontiere aperte.
I Paesi
dell’euro hanno due problemi: un tasso di fertilità molto basso, che via
via riduce la popolazione, e una carenza di domanda. Il tasso di
fertilità nell’eurozona è in media 1,6 (cioè 1,6 figli per ogni donna).
Per mantenere la popolazione stabile il tasso di fertilità dovrebbe
essere un po’ sopra 2. Gli unici Paesi europei in cui questo accade sono
Irlanda e Francia. La bassa fertilità è solo in parte compensata
dall’allungamento dell’età lavorativa, che cresce troppo lentamente.
Risultato: la popolazione attiva scende, e questo ci costa circa mezzo
punto l’anno di minor crescita. Diversamente dalla fertilità, che è un
fenomeno di lungo periodo, la carenza di domanda è un’eredità della
crisi. Ma entrambe, scarsa domanda e bassa fertilità, ritardano l’uscita
dalla recessione.
Fra i Paesi dell’euro, quello in cui questi
problemi sono più accentuati è la Germania. La fertilità tedesca è una
delle più basse: solo 1,38 bambini per ogni donna.
Anche la
domanda è particolarmente bassa in Germania, come dimostra il fatto che
essa abbia un avanzo nei conti con l’estero pari a quasi l’8 per cento
del prodotto. Cioè la Germania produce quasi l’8% più di quanto spende.
L’eurozona ha quindi un problema aggregato — poca domanda, bassa
fertilità — e uno squilibrio, fra la Germania e il resto dell’area.
Accogliere i rifugiati, e accoglierne di più in Germania, è il modo per
correggere entrambi.
La Germania è anche il Paese che ha più
spazio nei propri conti pubblici: il 2015 si è chiuso con un avanzo di
bilancio pari a 1 punto di Pil (Prodotto interno lordo). Un milione di
rifugiati, quanti la Germania ne ha accolti nel 2015, costa circa un
terzo di punto di Pil l’anno: sussidi diretti, attività per facilitare
l’integrazione, abitazioni, scuole, assistenza medica. Di tanto quindi
cresce la spesa pubblica tedesca con effetti positivi sul resto
dell’eurozona. Un rifugiato costa allo Stato tedesco circa 12 mila euro
il primo anno, una cifra che si riduce nell’arco di 5-10 anni quando
egli si inserisce nel mercato del lavoro ed esce dai programmi di
assistenza (si veda lo studio della Commissione europea al sito:
ec.europa.eu/economy_finance/eu/forecasts/2015_autumn/box1 ).
Accogliere
i rifugiati è quindi una strategia intelligente: aumenta la spesa
pubblica nel breve periodo, per l’assistenza necessaria, ma in un modo
che si corregge automaticamente entro un decennio. Nel lungo periodo
rifugiati integrati contribuiscono alla sostenibilità del sistema
pensionistico. L’effetto sulla popolazione è di aumentarla di circa il
2% nel triennio. Un numero non enorme, ma sufficiente per arrestare la
caduta della popolazione tedesca. L’effetto poi si propaga nel tempo per
il maggior tasso di fertilità delle donne immigrate. L’età dei
rifugiati conta: più sono giovani, più a lungo dovranno essere educati e
assistiti, ma più a lungo anche pagheranno tasse e contributi sociali.
Angela Merkel è forse il solo statista europeo ad aver capito che
accogliere i rifugiati e investire nel loro capitale umano non ha solo
un aspetto di solidarietà: è più lungimirante che costruire autostrade.
Tutto
questo richiede però due condizioni. I benefici dell’integrazione si
ottengono solo con il rispetto delle regole; negli Stati Uniti
l’integrazione funziona, pur se con mille difficoltà, perché la
violazione delle regole è punita duramente. L’integrazione inoltre deve
rispettare i valori del Paese che accoglie, come ha chiaramente spiegato
Ernesto Galli della Loggia alcuni giorni fa su queste colonne. Episodi,
come quelli accaduti in Francia, in cui in alcune scuole in quartieri
con significativa presenza di cittadini di religione musulmana, presidi e
insegnanti hanno in modo passivo accettato che fosse tolta la carne
dalla mensa per evitare discussioni, non aiutano l’integrazione e sono
inammissibili.
Il secondo problema riguarda l’equilibrio di
genere. La recente ondata di rifugiati è composta per lo più di maschi.
Ma l’equilibrio di genere si realizza con l’integrazione e con i
ricongiungimenti familiari. È la scarsa capacità di integrare che
mantiene lo squilibrio di genere. Anche qui la Germania è un buon
esempio: su 7,8 milioni di cittadini nati fuori dai confini tedeschi
esattamente la metà sono donne. Solo per alcune nazionalità, in
particolare per i cittadini di origine africana, la percentuale di donne
è inferiore al 40 per cento.