La Stampa 17.1.16
Liudmila Ulitskaya
“Con Putin la mia Russia torna al passato più buio”
Parla la scrittrice che pubblica in Italia il nuovo romanzo Mentre dal suo Paese giungono notizie di libri messi al rogo
di Anna Zafesova
Una
storia russa: il titolo italiano del nuovo romanzo di Liudmila
Ulitskaya, appena pubblicato da Bompiani, è calzante. È una storia,
anzi, tante storie private di amori, tradimenti, prigioni, figli, addii e
sogni, tasselli della storia della Russia del ’900. È un romanzo a
chiave, con personaggi veri e verosimili, ma in filigrana appare
inevitabilmente l’attualità. È un romanzo di crescita, in parte
autobiografico: Ulitskaya, classe 1943, ha avuto due nonni nel Gulag, ha
vissuto il dissenso sovietico, e resta una «dissidente». È stata tra i
pochi a protestare contro la guerra in Ucraina, ha pubblicato libri
sulla tolleranza accusati di «propaganda omosessuale», ha avviato un
carteggio con Mikhail Khodorkovsky mentre era in carcere, è scesa in
piazza, ha firmato ieri un appello per le dimissioni del leader ceceno
Ramzan Kadyrov dopo che ha minacciato un deputato. Ed è un romanzo sulla
letteratura russa, denso di citazioni e allusioni, che racconta come i
libri abbiano cambiato gli individui e la società, con i personaggi che
rischiano il carcere per diffondere il samizdat. Una delle ultime
notizie dalla Russia è il rogo, in una biblioteca del Nord, di libri di
logica, cultura e filosofia editi dalla Fondazione Soros.
Il «Paese che leggeva più di ogni altro al mondo» ora brucia i libri?
«È
un ennesimo sintomo dell’ennesima catastrofe russa, che dura ormai da
quasi 100 anni. Per uno studioso il nostro Paese è avvincente, ma è
estremamente scomodo da abitare. Forse è proprio al misto di genialità e
assurdità che dobbiamo una grande letteratura, una cultura
affascinante, il genio scientifico. Il tratto principale del potere
russo (sia zarista sia sovietico e postsovietico) è l’ostile diffidenza
verso la cultura. Majakovsky si è suicidato, o forse è stato ucciso,
Mandelstam è stato fatto marcire in un campo di prigionia, Shostakovich è
stato perseguitato, Pasternak cacciato dall’Unione scrittori, Brodsky
mandato in esilio. L’intellighenzia dà fastidio. Presto quelli troppo
intelligenti, capaci di criticare e di analizzare, di educare e creare,
lasceranno questo Paese».
L’intellighenzia si è spaccata sull’Ucraina, come ai tempi sovietici. La storia si ripete?
«La
spaccatura dell’intellighenzia russa è nata con lei. “Occidentalisti” e
“slavofili”, la stessa linea che la divide oggi, tra chi applaude
l’annessione della Crimea e chi la considera un crimine politico. Esiste
il mito della “misteriosa anima russa”. Il rifiuto dell’approccio
razionale e scientifico ha portato all’idea di una “via speciale”,
distinta dalla civiltà europea. Tutto il mondo pensa che dagli errori si
impara, ma se gli errori - politici, economici e, ancora più
drammatico, morali - vengono invece ritenuti un tratto unico e
interessante, il risultato è il degrado».
Chi sono i vecchi e nuovi dissidenti oggi?
«Il
movimento di contestazione degli Anni 60-70 è finito nel 1991, e non
vedo alcuna parentela. La vecchia guardia mantiene il suo stile, ormai
arcaico. La nuova contestazione ha raggiunto l’apice nel 2011, è stata
sconfitta e non si è ancora ripresa. Sono rimasti pochi leader
inflessibili, come Alexey Navalny, ma è probabile che anche loro
finiranno dentro. Penso che questo potere crollerà per motivi economici,
per nessun’altra ragione. Non resta che pregare perché avvenga senza
uno spargimento di sangue».
I dissidenti sognavano l’evoluzione
della «prima generazione non frustata». Oggi però la libertà sembra tra
le ultime ispirazioni dei russi.
«Il filosofo Nikolay Berdiaev
diceva che “la libertà è difficile, la schiavitù è più facile”.
L’evoluzione non è lineare. La scimmia si è messa a camminare eretta per
avere le mani libere, una scelta costata alla nostra specie problemi
con l’apparato locomotorio e un parto doloroso. La libertà è legata alla
responsabilità. Il regime sovietico ha perseguitato per generazioni
chiunque fosse capace di un punto di vista divergente, di un’iniziativa.
Una selezione artificiale di umani sottomessi, “comodi”. Per vedere
nascere nell’Homo sovieticus il bisogno di libertà bisognerà attendere a
lungo. I giovani di oggi, almeno quelli più istruiti, mi piacciono
tantissimo, sono migliori di noi, più liberi. Se sostituiranno alla
guida del Paese gli uomini dell’ex Kgb, avremo un futuro».
Il suo
romanzo s’inizia con la morte di Stalin e i destini dei protagonisti
vengono devastati dallo stalinismo. Eppure Stalin resta in cima alle
preferenze dei russi.
«Ci sono tante cause: sindrome
post-traumatica, ricerca di figura paterna, ma anche la propaganda e la
nostalgia per la giovinezza nell’Urss. E poi, la pazienza e la docilità
di un popolo che ha paura del potere e tende a deificarne i
protagonisti, l’abitudine secolare alla povertà, la mancanza di dignità
di chi è stato schiavo a lungo. La rivoluzione socialista è accaduta
prima di quella borghese, i russi non hanno avuto il tempo di sentirsi
cittadini responsabili della propria vita. Una canzone sovietica diceva
”Lenin è sempre vivo, è in me e in te”. Sostituite Lenin con Putin, il
senso non cambia. La Russia ha scelto una strada esclusiva, con i mostri
della storia russa a illuminarla».
Svetlana Aleksievich ha detto
che Putin ha dato voce al popolo, e che ad ascoltarla l’intellighenzia
della perestroika rimase atterrita. Condivide?
«Trovo questo
personaggio assai poco interessante, piuttosto rozzo, senza troppe
complicazioni, ma con grandi doti di politico allevato nei laboratori
del Kgb. Ogni polizia segreta è un’organizzazione efferata, con
strumenti potenti - celle di tortura, il colpo alla nuca, le vasche di
acido - che non portano mai in un posto buono. Anni fa il grande 1984 di
George Orwell fu letto come una rivelazione. Sotto la guida del signor
Putin non si finisce però nel futuro, ma nel passato, in un nuovo
Medioevo».
Il tema dell’antisemitismo è un altro richiamo
all’attualità. La propaganda spesso fa l’equazione
«ebreo-liberale-nemico», mentre l’essere russi è sinonimo di conformità
politica.
«Non percepisco un aumento dell’antisemitismo. Semmai in
Francia, a giudicare dalla massiccia emigrazione di ebrei.
L’antisemitismo è una sottospecie della xenofobia, facilmente
manipolabile. Le classi più basse smisero di odiare gli ebrei per
iniziare a odiare i caucasici, ora il sentimento della folla è stato
dirottato sugli ucraini. È un rischioso esperimento sociale, con
risultati imprevedibili ma inevitabilmente catastrofici. Gli ebrei
resteranno nella lista dei nemici immaginari, ma oggi non sono loro a
guidarla: ci sono l’America, l’Isis, l’Ucraina, male che vada gli
omosessuali».
Come vede la Russia e l’Ucraina tra 5-10 anni?
«Ci
vorrà più di una generazione. Da entrambi i lati di questa nuova
frontiera resta chi tenta di conservare il legame culturale tra i due
popoli. È l’unica cosa che oggi si possa fare».