Corriere La Lettura 17.1.16
Il migrante «mobile» che mette in crisi la staticità dello Stato
di Franco Farinelli
Che
fine hanno fatto gli abitanti di Parigi? Se lo chiedeva Walter Benjamin
a proposito delle foto scattate da Eugène Atget nell’Ottocento, del
tutto prive di persone quasi che la città fosse deserta, una scena
vuota. E metteva in guardia, nella sua Piccola storia della fotografia ,
contro il «nascosto carattere politico» di tali immagini, di cui non
riusciva però a decifrare la natura, la ragione. Per rispondere sarebbe
bastata un’occhiata al frontespizio del Leviatano di Hobbes, il testo
cui più di ogni altro lo Stato moderno deve la propria fondazione
teorica, apparso a metà Seicento: un’epoca in cui la prima pagina di un
libro valeva come sintesi illustrata di tutto il contenuto, al punto che
Cartesio poteva vantarsi di non aver bisogno di aprire un volume per
venire a capo del problema posto dal titolo.
A prima vista il
corpo del Leviatano, emblema dello Stato territoriale centralizzato come
lo chiamava Carl Schmitt, sembra soltanto villoso, oppure formato da
molteplici scaglie. In realtà la gigantesca forma del mostruoso
principe, che brandisce sul mondo le insegne del potere sia religioso
che civile, risulta costituita dalla massa dei singoli corpi dei
sudditi, tutti privi di volto perché ritratti di spalle, a segno
dell’assenza di ogni loro reciproca differenza al cospetto del nuovo
«Dio mortale». Soltanto il capo e le mani (gli organi del pensiero e
dell’azione) della potentissima creatura sono fatti di una sostanza non
umana, del tutto estranea rispetto all’ingombro materiale della somma
degli individui: i cui apparati fisici, parti coerenti e solidali dello
stesso unico insieme, già anticipano, nella loro reciproca equivalenza e
nella intercambiabilità della loro disposizione, la logica della
produzione di serie, il cui primo annuncio i filosofi di Francoforte
scorgeranno invece nelle macchine erotiche descritte da de Sade.
Diversamente
però da quel che accade in quest’ultime, nel corpo del Leviatano i
soggetti debbono restare immobili o almeno in tal modo vengono
concepiti, pena la crisi della staticità dello Stato stesso, che si
chiama così proprio perché non si muove. Fu Machiavelli, all’inizio del
Cinquecento, il primo ad adoperare tale termine nel significato di una
formazione politica che coincide con un’estensione territoriale: ancora
nel Quattrocento «stato» era soltanto sinonimo di condizione, quella
privilegiata di un essere umano dotato di particolari e superiori
prerogative dal punto di vista dell’esercizio del potere, a partire da
quello di dire giustizia. Come un soggetto si sia oggettivato
trasformandosi in una cosa, come la parola che designa un potente sia
passata invece a distinguere l’ambito d’esercizio del suo potere (di ciò
infatti si tratta) è un processo che ancora attende puntuale
ricostruzione. Ma intanto è proprio da tale sparizione del soggetto che
deriva l’assenza di persone nelle fotografie che a Benjamin facevano
problema, e di cui intuisce la funzione politica: come nelle foto
Alinari su cui abbiamo studiato al liceo Storia dell’arte, gli uomini e
le donne sono assenti perché stanno altrove, a comporre il corpo dello
Stato, di cui le immagini stesse sono più o meno consapevole e mediata
espressione. E oltre che invisibili gli atomi di cui il Leviatano si
compone sono immobili perché se è vero che lo Stato moderno non ha
territorio ma è il territorio, come insegnano i giuristi, quest’ultimo è
una costruzione geometrica, uno spazio propriamente detto, al cui
interno ogni cittadino corrisponde a un punto, dalla cui supposta
stabilità la stabilità (la staticità) dell’intero sistema dipende. Da
dove altrimenti deriverebbe l’uguaglianza (l’ egalité ) dei cittadini?
Accadde l’11 settembre, del 1789: per la prima volta, a Parigi, il voto
dell’Assemblea venne espresso singolarmente, non più per «ceto» ma per
«testa», appunto in omaggio al principio dell’equivalenza generale dei
punti geometrici sul piano.
Ecco perché le figure del migrante e
del rifugiato mettono davvero in crisi l’ordinamento politico esistente:
perché la loro visibilità e mobilità, ripristinando le più immediate
funzioni antropologiche, minano prima d’altro la fondamentale finzione
(la funzionale idealizzazione, il «congelamento metonimico» direbbe
Arjun Appadurai) sulla cui base l’intero sistema statale moderno è stato
costruito.