La Stampa 17.1.16
L’Aiea promuove l’Iran. Via le sanzioni economiche
Rispettati gli accordi, Onu, Usa e Ue revocano le misure. Teheran esulta
Il mondo festeggia ma la pace è lontana
Ora lo scontro si sposta fra Riad e Teheran
di Stefano Stefanini
L’Italia
festeggia l’Iran che apre i battenti a commercio e investimenti. La
comunità internazionale si rallegra della luce verde dell’Aiea
all’accordo nucleare.
Tuttavia la strada oltre quella luce verde è
ancora in salita. L’Iran sdoganato dalle sanzioni internazionali non
avrà più l’alibi dell’isolamento né per le penose condizioni
dell’economia né per la condotta internazionale. Rientra alla grande
nella tempesta perfetta che si è abbattuta su Medio Oriente e Golfo dove
però non è atteso né accolto a braccia aperte.
Sul piano
economico la rimozione delle sanzioni sblocca il potenziale iraniano e
apre importanti opportunità ai vecchi partners di Teheran, con in testa
Germania, Italia e Francia. Su scala mondiale l’Iran non compensa il
rallentamento cinese ma può dare una boccata d’ossigeno all’asfittica
Europa. Sui mercati di lunedì potrebbe pesare un’ulteriore depressione
dei prezzi petroliferi, ma il beneficio si avvertirà nel medio termine.
L’accordo
nucleare è uno spartiacque politico. Salva in extremis lo
scricchiolante regime di non proliferazione; sgombra il campo dal
latente rischio di un intervento militare americano (e israeliano), la
guerra che Obama ha voluto tenacemente evitare dall’inizio della sua
Presidenza. L’accordo con Teheran resterà probabilmente il suo
principale successo in politica estera. Almeno per dieci anni rimuove la
cappa nucleare dal Medio Oriente. Non poca cosa, anche se l’implicita
scommessa di Obama sull’apertura del paese non andasse a buon fine.
Oggi
comincia la nuova partita del dopo-accordo. La rimozione delle sanzioni
abbatte il muro che isolava un grande paese, ne tarpava le ali e ne
sacrificava il potenziale, ma che anche legittimava il regime e la rete
d’interessi economici, a cominciare da quelli degli stagionati pasdaran,
che lo circondavano e sostenevano. Stagnazione e disoccupazione non
avranno più giustificazione. Se la popolazione non avvertirà qualche
beneficio, la dirigenza iraniana sarà alle prese con scontento interno
senza capro espiatorio esterno.
All’Iran sdoganato si potrà anche
chiedere più responsabilità sia sul piano del megafono e della piazza,
sia su quello delle leve destabilizzanti, se non terroristiche, che
Teheran ha usato sistematicamente, tramite Hezbollah, in Libano e
altrove. L’accordo non contiene alcun impegno, tant’è che le sanzioni
americane legate al terrorismo restano in piedi. Ma se l’Iran vorrà
essere preso sul serio nelle capitali occidentali non potrà continuare
ad avallare comportamenti rivoluzionari, per di più dopo quarant’anni di
potere. «Morte a Israele e all’America» si tollera da uno Stato paria,
non da un interlocutore credibile.
Per l’Iran l’ostacolo più
grosso è l’accoglienza, ostile a dir poco, che sta trovando intorno.
L’Iran è stato a lungo una superpotenza regionale imbrigliata e
contenuta. Gli arabi sunniti hanno guardato con nervosismo e crescente
inquietudine al venir meno delle barriere che lo transennavano. Prima
dell’Iraq di Saddam a opera di G. W. Bush; adesso delle sanzioni ad
opera di Obama. Che le finalità dei due Presidenti fossero altre e
diverse fra loro è irrilevante, per l’altra sponda del Golfo conta il
risultato: il rilancio geopolitico di un Iran che per di più si fa
paladino (armato in Yemen) delle minoranze sciite.
Le scosse di
assestamento regionali avvicinano Arabia Saudita e Israele, che sta
rimarginando la rottura con la Turchia di Erdogan. Sullo sfondo: le
guerre in Siria e in Yemen con iraniani e sauditi da parti opposte; la
rottura delle relazioni diplomatiche fra Riad e Teheran; il dinamismo
audace della nuova dirigenza saudita che rompe l’immobilismo di decenni.
Per una guerra evitata se ne rischia un’altra a meno che Teheran e le
controparti non diano miglior prova di accortezza e moderazione.
Accordo
nucleare e rimozione delle sanzioni sono ottime cose, ma in Medio
Oriente è sempre troppo presto per festeggiare uno scampato pericolo.