Corriere 17.1.16
La parabola di Al Qaeda messa in crisi dall’Isis
di Roberto Tottoli
Con
l’attentato in Burkina Faso, al Qaeda torna a far sentire la sua voce.
Sono i colpi di coda di una organizzazione che ha segnato trent’anni di
storia del jihadismo e che il califfato dell’Isis sta mettendo in un
angolo.
Nata in Afghanistan a metà degli anni 80, al Qaeda ha
saputo unire campo di battaglia e ideali jihadisti, usando i soldi di
Bin Laden e i problemi della realtà afghana.
La vera svolta
avviene però nel 1991. Il regime talebano offre ad al Qaeda una base
sicura dopo il ritiro sovietico, mentre la prima guerra del Golfo mette
in luce le divisioni interne dei jihadisti del mondo islamico che si
schierano su fronti opposti. Tutto ciò mentre i sauditi chiamano a
soccorso l’esercito americano e rompono definitivamente con Bin Laden.
Al Qaeda lancia allora un proclama di attacco diretto agli Stati Uniti,
ormai unica superpotenza, proponendosi di coordinare la galassia
jihadista frantumata e impegnata in lotte locali.
Dopo continui
attacchi contro obiettivi americani per tutto il decennio degli anni 90,
l’11 settembre 2001 segna la massima potenza di al Qaeda.
Negli
anni successivi la reazione americana costringe al Qaeda a nascondersi.
Si ritrova senza più un territorio proprio mentre jihadisti di ogni dove
si dichiarano seguaci di Bin Laden, grazie al colpo inferto agli Stati
Uniti d’America. Al Qaeda diventa quindi, dopo il 2001, più un «brand»
che una rete organizzativa, utilizzato mediaticamente e rivolto agli
Stati Uniti in chiave terroristica anti-occidentale. E così anche dopo
la morte di Bin Laden.
Ma le cose cambiano con la nascita del
califfato dell’Isis. L’Isis riesce laddove nessun gruppo jihadista è
riuscito: mettere insieme universalità del messaggio, terrorismo
destabilizzante e l’utopia di un territorio controllato. E tale realtà è
destinata a cancellare al Qaeda, almeno finché Isis continuerà ad
esistere.