domenica 17 gennaio 2016

Corriere La Lettura 17.1.16
Carlo Magno e Napoleone Le due Europe
Dieci domande a Amedeo Feniello e Vittorio Criscuolo su due sovrani che dominarono il Vecchio Continente e cercarono di creare una nuova legittimità
La rinascita carolingia e il modello bonapartista, il loro ruolo nella storia di Francia,  i legami con l’Italia, i rapporti con il mondo islamico
di Antonio Carioti

1. Carlo Magno e Napoleone, in quanto imperatori, si sentivano eredi dell’antica Roma?
AMEDEO FENIELLO — Tutti coloro che non si rassegnavano ancora all’idea della morte dell’Impero romano trovarono nel sogno imperiale di Carlo la continuazione di una grande tradizione. Ma il mondo era ormai cambiato e la realtà non era più quella romana. Tuttavia questo modello faceva ancora presa e fu recuperato, in tutta la sua forza ideologica, dal sovrano franco tra l’VIII e il IX secolo. Sebbene il concetto di renovatio Imperii , ossia l’idea del «rinnovamento», non riguardasse più solo la sfera politica, ma «la concezione di un impero che sfumava nel misticismo cristiano-provvidenziale», come scrisse Heinrich von Fichtenau, con la convergenza dei termini «romano» e «cristiano».
VITTORIO CRISCUOLO — Se nella presa del potere Napoleone si riferì a Cesare, nome inviso agli ambienti repubblicani, nella costruzione dell’Impero si ispirò alla tradizione carolingia, che gli permetteva di ricollegarsi alla dinastia precedente, quella dei Capetingi abbattuta nel 1792. Tutto richiamava Carlo Magno: la struttura federale, lo stemma, i nomi dei dignitari (arcicancelliere ecc.), l’incoronazione del 1804. Solo dopo il 1810 Bonaparte concepì, sull’esempio romano, un Grande impero accentrato, fondato sulle strade e sulle leggi. Non a caso chiamò il figlio re di Roma. Il disastro russo pose fine a questi progetti.
2. Carlo Magno e Napoleone vinsero molte guerre: furono geni militari?
AMEDEO FENIELLO — Definire Carlo genio militare mi sembra un po’ troppo ma certamente fu un grande condottiero, anche perché la guerra fu una costante del suo regno. In questo egli seguì i suoi predecessori, Carlo Martello e Pipino il Breve. Si mosse in prevalenza su quattro ambiti: la Sassonia, l’Italia longobarda, il territorio degli Àvari lungo il Danubio, la zona di confine con la Spagna araba. La capacità delle truppe carolinge fu tale che entro l’804 le terre sotto il suo dominio erano più che raddoppiate rispetto a quelle controllate dal nonno Carlo Martello prima di morire.
VITTORIO CRISCUOLO — Gli studi che hanno evidenziato i limiti della strategia di Napoleone, mostrando quanto abbiano giocato in alcune sue vittorie la fortuna (Marengo) o il caso, non sono riusciti a ridimensionare il suo genio militare. Piuttosto è importante considerare il contesto storico nel quale esso poté affermarsi, vale a dire il nuovo tipo di guerra sorto dalla leva in massa, che nel 1793 chiamò tutta la nazione francese a difendere la patria e la rivoluzione. Lo spirito rivoluzionario fu l’anima del suo esercito, che non a caso si indebolì quando esso andò progressivamente declinando.
3. Carlo Magno e Napoleone erano despoti particolarmente spietati?
AMEDEO FENIELLO — Alla base della forza di Carlo, e del suo mito, c’era l’idea condivisa di un sovrano dal carattere ferreo. Non a caso, suo nipote Nithard mette in evidenza che il merito dell’imperatore fu di aver retto i popoli sottomessi con il terrore, seppure, aggiunge, un terrore «misurato». Un’indole che gli permise di tenere insieme tendenze contrapposte, regioni differenti ed etnie tanto diverse da poter costruire un impero continentale. Per far ciò non fu sempre un angioletto: basti pensare alla politica di terra bruciata contro i Sassoni, con l’episodio chiave del massacro di 4.500 di loro a Verden; o alla «sporca guerra» genocida contro gli Àvari.
VITTORIO CRISCUOLO — Napoleone non governò con il terrore: i paralleli con i totalitarismi del XX secolo non hanno fondamento. Il suo regime fu illiberale e autoritario, ma non sanguinario: la Francia, stanca della rivoluzione, voleva la pace. Certo, da ex giacobino, sapeva che l’uso della forza è talora necessario: la fucilazione nel 1804 del duca di Enghien, accusato a torto di essere il capo di una cospirazione monarchica, fu appunto una misura di salute pubblica, con la quale Bonaparte volle rassicurare quanti temevano una restaurazione dei Borbone e preparare il terreno per l’istituzione di una nuova monarchia.
4. Quale contributo diedero Carlo Magno e Napoleone in fatto di cultura e vita civile?
AMEDEO FENIELLO — Bella l’immagine di Sabatino Lopez per cui «la rinascita carolingia non accese che un cero d’altare in mezzo al buio, mentre il Rinascimento quattrocentesco rapì al Cielo un po’ della sua luce per darla agli uomini». Tuttavia l’élite carolingia — tra cui emerge lo straordinario teologo Alcuino — si sentì davvero diversa rispetto al proprio passato, capace di esprimere delle novità, come ad esempio la rivoluzionaria forma di scrittura. Fiori di serra, si direbbe, coltivati da un pugno di intellettuali al servizio di un grande mecenate e della sua corte. Al di fuori c’è il vuoto culturale. Che regna quasi sovrano dappertutto nell’Impero.
VITTORIO CRISCUOLO — Napoleone costruì in Francia una amministrazione moderna e razionale, che anche i regimi della Restaurazione cercarono di conservare perché molto più efficiente delle strutture burocratiche e finanziarie dell’Antico regime. Inoltre, imponendo la legislazione francese nei Paesi occupati, favorì un profondo rinnovamento della società europea, che abbatté distinzioni e privilegi, garantì l’eguaglianza dei diritti (emancipazione degli ebrei), cancellò in molti ambiti i residui del potere signorile e creò le condizioni per uno sviluppo delle forze produttive.
5. Gli imperi di Carlo Magno e Napoleone sono precursori dell’attuale Unione Europea?
AMEDEO FENIELLO — Se è vero che Carlo unificò sul piano militare e amministrativo gran parte del nostro continente, si deve dire che, in realtà, non aveva alcuna coscienza dell’Europa. Condivido perciò le parole di Jacques Le Goff: «Ebbe grandi progetti che in parte riuscì a realizzare, contribuendo a fondere la tradizione romana con quella barbara. Da questo punto di vista fu indubbiamente uno dei fondatori della civiltà medievale, ma non un padre dell’Europa». La sua idea fu universale e imperiale, mentre il concetto d’Europa si formerà molto più tardi, figlio di altre pulsioni e idealità.
VITTORIO CRISCUOLO — Nel memoriale raccolto a Sant’Elena da Las Cases, Napoleone dichiarò che solo l’ostilità inglese lo aveva costretto alla conquista, impedendogli di fondare una federazione europea: è un’affermazione priva di fondamento. Certo egli contribuì a uniformare la società europea, diffondendo i princìpi del 1789, ma in sostanza non ebbe nessuna considerazione per le esigenze dei popoli, asserviti al predominio politico ed economico della Francia. La sua caduta nel 1814 fu provocata, oltre che dalle sconfitte militari, dalla rivolta dei popoli europei contro l’egemonia francese.
6. Che segno hanno lasciato Carlo Magno e Napoleone nella storia della Francia?
AMEDEO FENIELLO — Il culto di Carlo ha creato la figura indistinta e multipla del «novello Davide» e del «re cristianissimo», che ne fa uno dei padri fondatori della Francia. Lungo una scia che ha le sue radici già nel Medioevo fino al re Carlo VIII, che viene presentato dalla propaganda, per la sua politica italiana, proprio come il continuatore di Carlo Magno. Mito che si articola con Luigi XIV e che viene rielaborato da riformatori e fisiocratici. Ma esplode con Napoleone Bonaparte, il quale si serve di Carlo Magno per giustificare storicamente l’impero e la trasformazione del regime consolare.
VITTORIO CRISCUOLO — Napoleone è stato un punto di riferimento per il nazionalismo e per tutti coloro che, come Charles de Gaulle, hanno coltivato il mito della grandeur . Le correnti di impronta conservatrice (ad esempio lo storico Louis Madelin) hanno visto in lui l’uomo forte, il restauratore dell’ordine dopo la rivoluzione. Contro queste interpretazioni, che anticipavano il clima della Francia di Vichy, un altro storico, Georges Lefebvre, ha ricordato nel 1935 che Napoleone fu un figlio della rivoluzione: l’ordine che egli volle stabilire era ben diverso da quello dell’Antico regime, e infatti le monarchie europee lo combatterono fino alla sua definitiva uscita di scena.
7. Che rapporto intrattennero Carlo Magno e Napoleone con l’Italia?
AMEDEO FENIELLO — Il rapporto di Carlo con l’Italia è legato soprattutto alla guerra contro i Longobardi. Nel 773 fu sollecitato a intervenire da Papa Adriano I. La conquista del Regno longobardo d’Italia avvenne in breve tempo: bastò la caduta della capitale, Pavia, che comportò la fine quasi immediata della resistenza. L’Italia non venne però assorbita nelle terre franche e Carlo assunse il titolo di «re dei Franchi e dei Longobardi», e ciò rifletteva il fatto che l’Italia restava concettualmente separata. Un’identità che si conserva con un grande mutamento progressivo: il nome di Regno dei Longobardi lascerà il posto a quello di regnum Italiae .
VITTORIO CRISCUOLO — Molte opere storiche e letterarie hanno diffuso il mito di un Napoleone «italiano», e parlato di una sua predilezione per l’Italia. Egli certo rimase legato al Paese dove aveva ottenuto i primi trionfi e posto le radici della sua carriera politica. Ma, con buona pace delle pretestuose affermazioni del memoriale di Las Cases, egli subordinò completamente l’Italia agli interessi politici, militari ed economici della Francia. Egli intendeva fare di Roma (dove non mise mai piede) la seconda capitale dell’Impero, ma non pensò mai di concedere una reale indipendenza alla penisola.
8. Come si comportarono Carlo Magno e Napoleone verso la Chiesa?
AMEDEO FENIELLO — Molti storici hanno parlato dell’avvento al potere dei Carolingi come di un colpo di Stato contro i Merovingi, cui occorresse fornire legittimità. Una legittimità che poteva essere garantita solo da un’autorità superiore e universale, la Chiesa, che, da parte sua, aveva trovato in Carlo il protettore ideale. Però non bisogna essere troppo disincantati. Con l’incoronazione di Carlo nel Natale dell’anno 800 avviene qualcosa di più grande: agli occhi di tanti si realizzava l’ideale di Sant’Agostino di un impero cristiano in cui la Città terrena prefigurava la Città di Dio.
VITTORIO CRISCUOLO — Con il Concordato del 1801 Napoleone ottenne il ripristino dell’unità religiosa e la subordinazione della Chiesa francese. Con l’incoronazione del 1804 diede una consacrazione religiosa al proprio potere, e nel 1806 in una lettera a Pio VII ribadì, richiamandosi a Carlo Magno, la superiorità del potere imperiale su quello religioso. Questo cinico realismo alla fine non pagò, perché ignorava la forza della fede e delle idee. La Chiesa poté riorganizzarsi e radicarsi nella società francese dopo la bufera rivoluzionaria e, dopo l’occupazione di Roma e la deportazione in Francia del Papa, il cattolicesimo diventò un fattore di opposizione al regime.
9. Carlo Magno e Napoleone condussero campagne militari in terra musulmana. Come si ponevano verso l’islam?
AMEDEO FENIELLO — A Carlo è stato attribuito un incipiente spirito di crociata che non gli appartenne. Certo, i musulmani erano per lui pagani, come d’altronde i Sassoni e gli Àvari. Li combatté, come accadde nel 778 nel corso della spedizione che terminò con la rotta di Roncisvalle, ove cadde sotto i colpi di tribù basche la retroguardia di Carlo: un episodio che diventerà epico, al centro della Chanson de Roland . Ma intrattenne anche forti contatti diplomatici con il califfo di Bagdad Harun al-Rashid, all’interno di un ampio gioco internazionale che coinvolgeva la potenza bizantina e quella omayyade di Spagna.
VITTORIO CRISCUOLO — La concezione strumentale della religione di Bonaparte, come fattore indispensabile di ordine e di stabilità politica e sociale, appare con evidenza dalla sua azione in Egitto. Napoleone celebrò il Ramadan e scrisse una lettera al sultano esaltando i pregi dell’islam. Per il resto egli introdusse nella società egiziana molti elementi di modernizzazione (stampa, servizio postale, mulini a vento, canali e strade ecc.). Per questo la sua opera, condannata dall’islamismo tradizionalistico, è stata giudicata positivamente da molti storici egiziani come una benefica apertura alla civiltà occidentale.
10. Come si comportavano Carlo Magno e Napoleone nei riguardi delle donne?
AMEDEO FENIELLO — Von Fichtenau, uno dei grandi biografi di Carlo, lo descrive come un ciclotimico ipomaniaco, che aveva bisogno di donne come di cibo e di vino. E di donne ne ebbe parecchie: fu circondato per tutta la vita da una moltitudine di mogli e di concubine, almeno nove, che si succedevano al ritmo dei ripudi o dei decessi. Questo atteggiamento ha spesso scandalizzato gli storici (basti pensare a Edward Gibbon); ma va aggiunto che per la generazione di Carlo l’istituzione matrimoniale era ben diversa da come la immaginiamo, ancora legata alla tradizione germanica con la pratica di forme di matrimonio provvisorie o private, la cosiddetta Friedelehe .
VITTORIO CRISCUOLO — Il realismo del soldato e del politico soffocò presto in Napoleone quella vena di sentimentalismo che si manifesta nelle appassionate lettere alla prima moglie Joséphine de Beauharnais e che non traspare più nella relazione con la polacca Maria Walewska. Il divorzio da Joséphine fu dovuto a motivazioni esclusivamente politiche. Del secondo matrimonio con Maria Luisa d’Asburgo ci rimangono, almeno all’inizio, scene di serenità familiare. Dalle origini còrse derivò una concezione tradizionale della famiglia: il codice civile, nella parte in cui sancisce la subordinazione della donna al marito e al padre, riflette queste convinzioni.