La Stampa 17.1.16
Ebrei e cristiani, si rinsalda un rapporto speciale
di Walter Kasper, cardinale
Oggi
Papa Francesco sarà in visita alla Sinagoga di Roma. Dopo quelle di
Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, sarà la terza visita di un Papa
alla comunità ebraica romana. Come forse nient’altro, ciò mostra il
cambiamento storico prodotto nella Chiesa cattolica dal Concilio
Vaticano II.
Mentre il quarto Concilio Lateranense, 800
anni fa, aveva rinchiuso gli ebrei nel ghetto, oggi i Papi vanno
nell’ex ghetto ebraico per scambiare il saluto biblico «Shalom», «pace»,
con la comunità ebraica.
Cinquant’anni fa, con la dichiarazione
«Nostra ætate», il Concilio Vaticano II dette l’avvio alle relazioni
fraterne ebraico-cristiane. Traendo spunto da quest’occasione, la
Pontificia Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo ha
pubblicato, il 10 dicembre 2015, un documento importante. Tornando a
ricordare la storia complessa, e in gran parte dolorosa, di tali
rapporti, nomina anzitutto la Shoah: l’assassinio, organizzato dallo
Stato, durante il regime nazionalsocialista, di due terzi degli ebrei
d’Europa, che, fino ad oggi, ha lasciato un trauma profondo nel popolo
ebraico.
Già nell’intestazione, il nuovo documento cita la causa
del cambiamento dei rapporti. L’apostolo Paolo scrive, nell’Epistola ai
Romani, che la chiamata di Dio, rivolta al popolo ebraico, è
irrevocabile. Gli ebrei, quindi, non sono, come spesso fu detto in
passato, il popolo ripudiato, ma l’alleanza di Dio con loro vale ancora.
Ebrei
e cristiani si trovano in un rapporto unico, nel suo genere, che si
differenzia dalle relazioni con ogni altra religione. Ebrei e cristiani
hanno un’eredità spirituale comune negli scritti dell’Antico Testamento.
Entrambi sono, per così dire, fratelli e sorelle che, nell’Antico
Testamento, hanno padri e madri della fede comuni. Gesù stesso, sua
madre Maria e tutti gli apostoli erano ebrei.
L’ultimo Concilio,
perciò, ha rigettato in modo deciso la discriminazione degli ebrei,
denunciato le persecuzioni del passato e condannato severamente ogni
forma di antisemitismo. Da allora in poi, ovunque ebrei e cristiani
vivano insieme, le relazioni sono amichevoli, ci sono dialogo e
cooperazione nelle questioni umanitarie pratiche e c’è la preoccupazione
comune per la pace, nella Terra Santa funestata da conflitti
sanguinosi. Provocazioni di fanatici irriducibili, che causano di
continuo inquietudine, sono condannate insieme da ebrei e cristiani, che
sono in relazione diretta, nel dialogo che dura da decenni.
È
interessante che il documento recente compia perfino un passo che va
oltre quanto fatto dal Concilio Vaticano II, affrontando le questioni,
sensibili per gli ebrei, della missione verso gli ebrei. La questione
generò disappunto grave, nel 2007, quando Papa Benedetto reintrodusse,
nella liturgia del Venerdì Santo, in casi eccezionali, il vecchio rito.
Rito che prevede una preghiera «per la conversione degli ebrei», che non
compare più, in questa forma, nella liturgia postconciliare, usuale
quasi ovunque. Questo è un problema sensibile anche per i cristiani,
perché interessa la questione, fondamentale per la fede, della salvezza
universale in Gesù Cristo. Il documento presenta come soluzione quella
trovata allora, di concerto con il Papa: non c’è un’attività missionaria
cristiana specifica, istituzionale verso gli ebrei; ma i cristiani
devono rendere testimonianza agli ebrei della loro fede in Gesù Cristo; e
devono farlo in modo umile, sensibile e rispettoso della fede ebraica.
È
motivo di gioia speciale che, una settimana prima di tale documento,
fosse pubblicata una dichiarazione di 25 rabbini ebrei ortodossi.
Entrambe le dichiarazioni sono state accordate, evidentemente, fino ad
un certo grado e testimoniano, in modo rinnovato, del rapporto fiducioso
che si è sviluppato.
Insieme, i due documenti possono dire: in
un’epoca, in cui sotto la copertura della religione, aumentano i
conflitti violenti, che minacciano la pace nel mondo, ebrei e cristiani
rendono insieme testimonianza che, nonostante una storia difficile, sono
possibili cooperazione amichevole e impegno comune in favore della
giustizia e della pace nel mondo. La visita di Papa Francesco alla
Sinagoga di Roma approfondirà questa testimonianza comune in favore
della Shalom, della pace nel mondo, e la promuoverà.