sabato 16 gennaio 2016

La Stampa 16.1.16
Delirio religioso e sessuofobia
quei tarli del “poeta maledetto”
I pm: uccisa perché aveva ceduto a un rapporto con lui L’amico chierichetto aveva avallato il suo finto alibi
di Paolo Colonnello

Sapere che uccise Lidia Macchi «per motivi abietti e futili, consistiti nell’intento distruttivo della donna considerata causa di un rapporto sessuale vissuto come tradimento del proprio ossessivo e delirante credo religioso», non basta.

Ci sono in questa storia furibonda di Stefano Binda, alcune cose che non tornano e che sono appena accennate nell’ordinanza che ieri mattina lo ha portato in carcere, dove a un certo punto si parla esplicitamente della possibile esistenza «di un complice o di un favoreggiatore». E dove su tutto aleggia una religiosità malata, figlia di un mondo chiuso, omertoso.
L’omertà
Perché se è pur vero che vi sono delitti che rimangono irrisolti, il segreto del “poeta maledetto”, del ciellino diventato eroinomane che aveva affascinato l’ex compagna di liceo desiderosa di “salvarlo”, è difficile che abbia retto 29 anni senza l’omertà di qualcuno che pure un’idea doveva essersela fatta su questo filosofo “misogino”, tanto brillante quanto inconcludente nella vita. Come don Giuseppe Sotgiu, forse il miglior amico dell’epoca, ex chierichetto come lui nella parrocchia di Varese, che quando testimonia nelle prime fasi delle indagini, rilevano gli inquirenti, racconta subito una bugia. E cioè che Binda la sera in cui venne uccisa Lidia Macchi, era con lui e un altro amico a vedere un film. Un alibi di ferro. Peccato che lo stesso Binda, ascoltato poche ore dopo di lui, dichiari di essere tornato dalle vacanze in montagna con altri giovani ciellini, proprio il giorno dopo l’omicidio. Così Sotgiu, torna alla polizia e rettifica: la sera dell’omicidio, spiega. ero in casa di amici a guardare un film in televisione e Binda non era con noi. Gli amici confermeranno. Perché questo cambio repentino di versione non viene notato dagli investigatori di allora? Mistero. Binda racconterà anche di conoscere a malapena Lidia, mentre i due proprio in quel periodo si frequentavano assiduamente. E nella comunità era cosa risaputa. Nessuno però rilevò l’incongruenza.
Di fatto, sarebbe bastato controllare se davvero Binda era andato in montagna per capire che, se l’amico aveva cercato di fornirgli un alibi, qualcosa non andava. Invece niente e piano piano l’omicidio di quella ragazza, scomparsa in una «notte di gelo», finì tra i casi irrisolti. Lasciando, come nota nella sua richiesta di arresto il pg Carmen Manfredda, che «un vento di calunnie e sospetti» soffiasse forte nella stessa comunità ciellina di Varese, travolgendo inizialmente un sacerdote per poi trasferirsi su Giuseppe Piccolomo, il “killer delle mani mozzate”, accusato dalle figlie di essersi vantato di aver ucciso Lidia Macchi.
La svolta
Appena le indagini riprendono nel 2014, avocate dalla procura Generale di Milano, sebbene siano passati quasi 30 anni, arrivano velocemente a una conclusione. Per ora, quella più plausibile. Così, quando il 7 agosto scorso a Binda viene ufficialmente comunicato di essere il sospettato numero 1, lui, nota il gip nel provvedimento di arresto, «riprende i contatti con le figure del suo passato»: il nunzio apostolico Piergiorgio Bertoldo, missionario in Africa e poi Marco Pippione, oggi come allora «uno dei responsabili varesini del movimento di Cielle». «In altre parole Binda ha cercato di riprendere contatto con quel passato per prepararsi a un possibile sviluppo delle indagini». E forse ad una fuga, visto che tra i motivi dell’arresto il gip mette questa eventualità oltre alla reiterazione del reato. E’ ancora una volta una poesia a far riaprire il caso, una delle più celebri di Pavese: «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi». Binda la regalava alle giovani cielline affascinate dalla sua prosa. Una sera del 2014, Patrizia Bianchi, l’unica donna che Stefano abbia mai baciato, guardando la trasmissione “Quarto Grado”, scopre che nella borsa di Lidia, dettaglio finora inedito, era stata trovata proprio una copia di quella poesia che solo Binda poteva aver regalato alla giovane. Patrizia decide di farsi avanti con gli inquirenti. Eppure, dell’omicidio di Lidia e dei sospetti sul suo vecchio amore di gioventù, ne aveva già parlato a un altro fidanzato, addirittura tra il ’90 e il ’93. Comportamenti forse non penalmente rilevanti, ma ipocritamente imbattibili.