venerdì 15 gennaio 2016

La Stampa 15.1.16
Perché Renzi usa i muscoli contro l’Ue
di Giovanni Orsina

Per comprendere la politica europea del governo italiano non si può di certo guardare soltanto dentro i nostri confini. Fra il risultato delle elezioni polacche e spagnole, la crisi dei rifugiati e l’affievolirsi della leadership di Angela Merkel, il caos mediorientale e la minaccia terroristica – e pensando anche agli eventi futuri, come le elezioni presidenziali francesi e il referendum britannico sull’Europa dell’anno prossimo –, l’Unione sta attraversando la fase più disordinata e rischiosa dell’intera sua storia. Com’è evidente, Renzi sta cercando di approfittare del rimescolamento in corso per collocarsi nella posizione di maggior potere possibile. Un gioco pericoloso, il cui premio potrebbe però essere alto.
La politica europea del governo, d’altra parte, non può essere compresa appieno se non si guarda anche dentro i confini italiani. Se adottiamo questa prospettiva, per capire l’«offensiva» renziana contro Bruxelles dobbiamo tenere presenti due parametri. Il primo ha a che vedere con la sostanza, il secondo con l’immagine, entrambi con la natura e collocazione politica del «partito della nazione».
La sostanza, innanzitutto. La legge di stabilità 2016, com’è noto, ha tagliato le tasse ma non la spesa pubblica. Questa strategia, al di là della sua logica economica, ha una matrice politica evidente, perfino banale: raccogliere più consenso possibile abbassando le imposte, con l’intento non ultimo di invadere gli spazi elettorali tradizionali del centro destra, senza però inimicarsi gruppi d’interesse importanti. Soprattutto nell’impiego pubblico, all’interno del quale fin dal 1994 si tende a votare a sinistra – non si dimentichi a questo proposito la lezione della «buona scuola», che ha danneggiato il Partito democratico nelle urne. Perché questa strategia funzioni, tuttavia, occorre far leva sul deficit. E la leva del deficit passa per Bruxelles. Con la quale, a quel che sembra, Renzi preferisce trattare a colpi di pressioni politiche piuttosto che col tocco morbido della diplomazia comunitaria.
L’immagine, in secondo luogo. Per carattere personale, ma anche perché è politicamente più debole di quel che sembri, il presidente del Consiglio ha bisogno sia di tenere sotto pressione l’agenda con nuove iniziative, sia di offrire capri espiatori all’opinione pubblica. L’Europa è un campo nel quale può mostrarsi attivo. Come capro espiatorio, poi, funziona a meraviglia – e certo non da oggi.
Ma soprattutto, mostrandosi «muscolare» con Bruxelles Renzi può fare concorrenza sul loro stesso terreno al Movimento 5 stelle e alla Lega, senza per questo perdere consensi a vantaggio dei partiti più moderati ed europeisti – per la semplice ragione che quei partiti non ci sono, o quanto meno sono di entità elettorale trascurabile. È il gioco che il presidente del Consiglio ha fatto con grande successo fin dai suoi esordi: restando dentro il partito più «antico» che sia rimasto in Italia, quello più legato alle tradizioni ideologiche e organizzative del Novecento, utilizzare le retoriche dell’avversione allo status quo, della rottamazione, del rovesciamento dei giochi consolidati, al fine di sgonfiare le vele dell’antipolitica. Essere dentro e fuori allo stesso tempo. Di lotta e di governo. A Roma e a Bruxelles.
Sul versante sia della sostanza sia dell’immagine, la strategia complessiva che Renzi persegue è chiara: occupare quanto più terreno politico possibile. A partire dal 2013 lo spazio pubblico italiano non è più strutturato soltanto dall’asse destra/sinistra, ma anche da quello establishment/antipolitica. La zona intorno all’origine, il punto nel quale i due assi si incontrano, è l’area più fruttuosa da un punto di vista elettorale. Da sempre Renzi cerca di occupare quell’area e di allargarla. Tagliando le tasse a destra, sostenendo le unioni civili a sinistra. Facendo il Jobs Act a destra, regalando gli ottanta euro a sinistra. Da gestore professionista del potere politico sul versante del «sistema» e da Gian Burrasca su quello dell’antipolitica. Da segretario d’un Pd europeista e da aspro critico di Bruxelles.
Dal suo punto di vista, si tratta di un’operazione del tutto razionale. Dal punto di vista del sistema politico italiano, invece, non si può che continuare a gridare: cercasi opposizione disperatamente.