La Stampa 15.1.16
Duecento italiani l’anno in fuga in Svizzera per scegliere di morire
Per ogni paziente che ottiene l’eutanasia, almeno 50 non ci riescono
di Giacomo Galeazzi
Per
porre fine alle loro sofferenze devono emigrare laddove è legale la
morte volontaria assistita. Si affidano ad una rete di associazioni che
li accompagnano da casa all’hospice. Nelle ultime tre settimane sono una
cinquantina le persone che hanno contattato i Radicali «in forma non
anonima» per informarsi sui viaggi dell’eutanasia. Sono in eguale misura
uomini e donne, la maggior parte di loro sono malati oncologici, una
parte minoritaria soffre di malattie psichiche (quindi non possono
essere aiutati nemmeno in Svizzera) e il resto sono affetti da malattie
degenerative, Sla e distrofia muscolare.
L’ ultimo viaggio
Ogni
anno 200 italiani arrivano in Svizzera per trovare la dolce morte:
pagano dai 10 ai 13mila euro. Per ogni paziente che ottiene l’eutanasia
almeno 50 non ci riescono. I volontari che li accompagnano nell’ultimo
viaggio difendono il diritto al fine vita e li chiamano «esuli del
suicidio». Non esistono cifre ufficiali sugli italiani che dall’Italia
arrivano in Svizzera: le cliniche non forniscono dati. Il 46% degli
italiani che si suicidano hanno la malattia come movente, stima l’Istat.
Prima di Natale Marco Cappato si è autodenunciato ai carabinieri di
Roma: «Ho aiutato Dominique Velati ad andare in Svizzera, le ha pagato
il biglietto del treno». Ora l’esponente radicale aggiunge: «La parola
eutanasia non figura nel nostro codice penale, eppure la morte è buona,
cioè meno cattiva, solo se posso sceglierne le modalità». Quindi
«testamento biologico, suicidio assistito, sospensione delle terapie,
sostanza letale somministrata dal medico su richiesta reiterata del
paziente, come accade in Olanda, Belgio, Lussemburgo».
Ma solo in
Svizzera l’eutanasia non è riservata ai residenti, ossia a chi fa parte
del sistema sanitario nazionale. In clinica, con una pastiglia di un
potente narcotico come il pentobarbital sodico, in tre minuti ci si
addormenta per non svegliarsi più. «E’ un fenomeno sociale diffuso e in
costante crescita- spiega Cappato-.Il potenziamento delle tecniche di
rianimazione rende sempre più spesso la morte un processo lungo e non un
fatto istantaneo. In tutti i sondaggio europei la maggioranza è
favorevole alla legalizzazione dell’eutanasia, persino tra cattolici e
leghisti del Nordest».
Squarci di umanità dolente. La casistica è
ampia. «Ci sono persone che vogliono morire per solitudine e
disperazione: vanno aiutate e curate da assistenti sociali e medici ma
in Italia è difficile intercettare questa richiesta di aiuto- racconta
Cappato-. I pazienti la avvertono come un potenziale atto criminale».
Disagio sommerso, piaga invisibile. Il 40% delle persone, dopo il
colloquio con medici e psicologi, desiste dal suo proposito e torna a
casa. «Una milanese malata di Sla ha dato l’assenso per il viaggio in
Svizzera- prosegue Cappato-. Il marito è contrario e lei, del tutto
immobilizzata, è di fatto sequestrata nella sua scelta. In Svizzera può
andare solo chi trova i soldi ed è trasportabile, quindi la maggioranza
dei malati terminali deve rinunciarvi».
Corsa contro il tempo
Dal
momento in cui viene fatta la richiesta a quando dalla Svizzera arriva
l’assenso passano mesi tra invio di documenti, analisi, perizie. Troppo
per quanti nel frattempo diventano intrasportabili. «In Olanda, Belgio e
Lussemburgo il medico somministra la sostanza letale, in Svizzera deve
essere il paziente ad assumerla, anche attraverso un marchingegno». Ma
la Svizzera è l’unico paese in cui dal 1942 sono ammessi al suicidio
assistito anche stranieri provenienti da paesi in cui l’eutanasia è
illegale. Il primo contatto è in Rete, la stanza di una clinica è
l’ultima fermata.