La Stampa 15.1.16
Cina economia di mercato?
L’Europa divisa non sa decidere
di Marco Zatterin
L’intesa
non è vicina. «Ne riparleremo», ha tagliato corto mercoledì il
vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans, al termine del
«dibattito di orientamento» avuto dall’esecutivo comunitario sulla
possibilità di riconoscere alla Cina lo status di economia di mercato.
Il verdetto europeo deve essere preso entro l’anno e l’annuncio è nei
fatti un rinvio per una questione spinosa, visto che un semaforo verde
renderebbe impossibile l’utilizzo di numerosi strumenti di protezione
dei settori economici Ue dal dumping del colosso asiatico.
La
commissaria per il Commercio, Cecilia Malmström, ed il vicepresidente,
Jyrki Katainen, spingevano per avanzare rapidamente, sulla base di un
rapporto interno dei servizi giuridici secondo cui il via libera alla
Cina è un obbligo già scontato. La linea è stata contestata e nel Team
Junker non c’è accordo. Dunque meglio prendere tempo.
Italia contraria
L'industria
europea, in particolare la siderurgia, e molti europarlamentari, tra
cui quelli italiani, sono contrari. Spaccati anche i Paesi europei:
favorevoli solo Regno Unito, Olanda e nordici. In mezzo c’è la Germania,
dove Angela Merkel è tentata di aprire a Pechino, ma è anche
preoccupata di abbandonare la propria industria alle minacce della
concorrenza sleale.
A 15 anni dall'ingresso nell'organizzazione
mondiale del commercio la Repubblica popolare dà per scontato il «sì»
dell’Europa. Oltre che economica, la questione è politica: non si
spiegherebbe altrimenti l'assegnazione dell'etichetta alla Russia già
nel 2002. Secondo molti la decisione potrebbe mettere a rischio tra gli
1,7 e i 3,5 milioni di posti di lavoro nell'Ue. Una think thank
statunitense ritiene che nei primi tre anni l'Europa si troverebbe
invasa di merci cinesi: un valore di 142,5 miliardi di euro, che
equivarrebbero a bruciare il 2% del Pil. Nel 2014, l’Unione ha esportato
verso Pechino merce per 164,8 miliardi.
Pericolo «dumping»
C'è
poi la questione del dumping e la volontà di Pechino di essere sempre
più coinvolta in progetti europei. Lo illustra anche l'importanza
crescente dell'Asian Infrastructure Investment Bank e la partecipazione
cinese nella European Bank of Reconstruction and Development. Pechino ha
fretta. Ma è probabile che l’Ue decida di aspettare sino all’ultimo
istante, cioè sino alla fine dell’anno.