La Stampa 15.1.16
Sui diritti delle coppie gay i renziani si spaccano per la prima volta
Anche tre laici contro le adozioni: Lanzillotta, Chiti, Pezzopane
di Fabio Martini
Il
granitico mondo renziano, da sempre refrattario alle opinioni
differenziate, per la prima volta si divide al suo interno. E si divide
nel giudizio sulle adozioni alle coppie omosessuali, uno degli assi
della nuova legge sulle Unioni civili voluta dal presidente del
Consiglio. Una linea di frattura non rettilinea, diversa da quella
proverbiale con la minoranza interna. I seguaci del
segretario-presidente appaiono divisi in tre aree: una cattolica, una
laica (di ora in ora più aggressiva) e un «centro» che per ora non
riesce a trovare una mediazione soddisfacente. In mezzo, un presidente
del Consiglio, insolitamente laconico. Da tempo Matteo Renzi ha
posizionato il timone su una rotta, che al momento non intende
modificare: l’Italia è pronta per una legge che riconosca i diritti
delle coppie omosessuali, compreso quello delle adozioni, una legge che
per palazzo Chigi va approvata assieme ai Cinque Stelle, mettendo nel
conto il no dell’Ncd. Un asse, quello con i grillini, che nelle
intenzioni di Renzi dovrebbe consentire al Pd di dotarsi di una «allure»
progressista, una postura urgente vista l’emorragia di consensi tra
l’elettorato di sinistra, almeno a leggere i sondaggi. Se questo è lo
schema di gioco di Renzi - l’unica variante potrebbe essere quella di
prendere atto di un voto anti-adozioni a scrutinio segreto - il prezzo
da pagare è una divisione all’interno della corrente largamente
maggioritaria nel Pd, quella del capo. Ieri il fenomeno ha preso corpo: i
primi firmatari del documento dei deputati per lo stralcio delle
adozioni e la prima firmataria degli emendamenti dei senatori sono
entrambi renziani doc: l’onorevole Alfredo Bazoli e la senatrice Rosa
Maria Di Giorgi, che appartengono alla ristretta lista di candidati che
Matteo Renzi chiese all’allora leader del Pd, Pier Luigi Bersani, di
fare eleggere in Parlamento.
In altre parole, la contestazione
alla linea maggioritaria nel Pd è guidata da renziani doc, ma questa
inattesa linea divisoria sta determinando tensioni. Qualche giorno fa
Cristiana Alicata, componente del Cda Anas in quota Pd, ha chiesto
l’espulsione dal suo partiito dell’europarlamentare Silvia Costa, rea di
aver usato l’espressione «lobby gay»: «Non posso accettare che vengano
usate contro di noi le stesse armi che Hitler usava contro gli ebrei ai
tempi del nazismo». E Costa ha replicato: «L’accostamento a Hitler mi
indigna». Meno noto il tweet di Mattia Peradotto, giovane renziano di
FutureDem: «La destra di Verdini...sulle #unionicivili meglio di Costa e
Fattorini». Due sere fa i senatori renziani (i laici di Marcucci, i
cattolici di Lepri, Fattorini e Collina) si sono riuniti e ad un certo
punto, la tensione ha provocato qualche cedimento emotivo. Un Pd in
ordine sparso, osserva Miguel Gotor della minoranza, «può aprire la
strada nelle votazioni segrete a tentazioni di tutti i tipi, col rischio
di mettere a rischio i capisaldi del ddl». Gotor non lo dice ma la
tentazione di affossare le adozioni, dando la colpa al Pd, potrebbe
venire a qualche Cinque Stelle. Togliendo a Renzi le castagne dal fuoco?
Intanto affiora un’altra novità: la opposizione alle adozioni sta
facendo proseliti anche tra senatori laici. Come Linda Lanzillotta,
Vannino Chiti, Stefania Pezzopane. Una fronda circoscritta ma che, se
dovesse allargarsi, potrebbe cambiare la storia del provvedimento.