giovedì 14 gennaio 2016

La Stampa 14.1.16
Una carta dei valori per i profughi
di Giovanna Zincone

Giorni duri e forti sfide per Angela Merkel. All’esterno, l’atto terroristico di Istanbul, che ha colpito cittadini tedeschi, genera un supplemento di inquietudine. All’interno, alle aggressioni di Capodanno seguono ronde neonaziste ed emergono progetti di attentati a centri profughi e moschee: è un pericoloso «scontro di inciviltà» che va sedato in tempo. Tra i due eventi ci sono, purtroppo, spinosi punti di contatto. Il kamikaze di Istanbul, un infiltrato saudita, aveva fatto domanda di asilo, l’aggressione anti-ragazze ha coinvolto anche molti profughi. La politica di Merkel di apertura ai rifugiati, che già aveva suscitato forti opposizioni nel suo partito ed era in fase di revisione, oggi è in aperta crisi. Altro punto di contatto tra Colonia e Istanbul: i Paesi di provenienza dei facinorosi sono musulmani, anche se di ben diverse colorazioni. Dopo gli eventi in Germania, l’opinione pubblica europea, quella femminile in particolare, torna a interrogarsi sulla compatibilità tra religione musulmana e rispetto delle libertà, della dignità delle donne. Ma se vogliamo aprire la questione a partire dal Capodanno nero, su quell’evento serve più chiarezza. Chi sono gli aggressori? Non devoti dell’Islam, altrimenti non girerebbero in preda a ubriachezza più che molesta. Si comportano piuttosto da maschi primitivi frustrati nei loro appetiti. Assaltano le ragazze di un ricco Paese che non dà loro quanto sperano di avere. Esternano avidità e rabbia saccheggiando: rubano soprattutto sesso, ma non solo. Spero di sbagliarmi, ma la violenza dello Stato Islamico, anche quella attuata in Paesi musulmani come la Turchia, rafforza il primitivismo aggressivo se è percepita come vincente. A quel primitivismo si deve, perciò e a maggior ragione, rispondere con sanzioni forti ed esemplari. Rimane aperto, però, il problema più generale. Una parte di chi arriva da società culturalmente arretrate, da Paesi prevalentemente musulmani (ma non solo da lì), mostra un rispetto nei confronti delle donne ben più basso di quello che mediamente si pratica in Europa, che pure non è eccelso. Come ha ribadito chiaramente Emma Bonino su «La Stampa», ai profughi «va fatto capire che i diritti umani, compresi quelli delle donne, sono universali», perciò se vogliono accoglienza devono rispettarli. Quindi, chi chiede a qualunque titolo ospitalità nei nostri Paesi deve conoscere i principi cardine dei nostri ordinamenti e della nostra cultura pubblica e impegnarsi a rispettarli. La carta dei valori, voluta da Amato quando era ministro dell’Interno, che dovrebbe sottoscrivere chi immigra in Italia, va presa più sul serio. Dovrebbe essere resa comprensibile anche da persone impreparate e culturalmente distanti, andrebbero ridotte le attuali troppo numerose esenzioni, per cui a sottoscriverla sono di fatto ben pochi, e infine dovrebbe essere presentata anche ai richiedenti asilo. Certo, l’integrazione degli immigrati, rifugiati inclusi, si gioca su una scacchiera ben più vasta di questo genere di interventi: lo stato di salute del mercato del lavoro, l’atteggiamento diffuso e quotidiano nei confronti degli immigrati, e degli immigrati verso i nazionali, il contesto internazionale e quant’altro. Ma se crediamo, seppure limitatamente, alle misure di integrazione mirate, come la carta dei valori o i corsi di educazione civica, è il caso sia di rafforzarle, sia di indirizzarle più sistematicamente anche ai rifugiati.
Chi solleva critiche formali e sostanziali a questo tipo di strategia, dovrebbe tener presente che accettare doveri e compiti giova soprattutto agli stessi rifugiati, perché hanno un disperato bisogno di recuperare solidarietà nei Paesi che li «accolgono» sempre più obtorto collo. Non vogliamo che siano le troppe morti di bambini nel Mediterraneo a comprare quella solidarietà. Chiedere ai richiedenti asilo di sottoscrivere la carta dei valori, avendone capito il senso, è un passo nella direzione giusta: così facendo affermerebbero pubblicamente di sapere in quale territorio culturale e giuridico stanno entrando e di accettarne le regole. Un altro passo utile per abbassare la temperatura dello «scontro di inciviltà» consiste nell’includere i rifugiati in attività di volontariato; tra l’altro, li salva dal peggiore dei loro mali: la noia. A questo scopo basta estendere sistematicamente esperimenti già fatti. Su questi progetti il Piemonte è all’avanguardia e i suoi amministratori locali si muovono con accortezza: ad esempio, per evitare la solita reazione del «pensate sempre a loro e mai a noi italiani», sulle pettorine dei rifugiati che puliscono le strade a Savigliano si legge che lo fanno a titolo gratuito. Sono strategie che servono a togliere un po’ di combustibile allo «scontro di inciviltà».
In questo scontro, che vede al centro anche la condizione delle donne, quale dovrebbe essere la posizione di noi femministe? Che posizione dovremmo prendere, in particolare, nei confronti del credo musulmano? Quella religione, che ha molte versioni e fazioni, è nelle sue interpretazioni prevalenti sostanzialmente sessista, talora violentemente sessista, come lo sono tante religioni, nei tempi, nei luoghi e nelle comunità che non hanno subito processi di modernizzazione liberale, dove i movimenti femministi non hanno potuto far sentire la propria voce. La nostra voce femminista, quella di noi che possiamo esprimerci, dovremmo farla sentire più spesso, senza imbarazzi da correttezza politica.