La Stampa 13.1.16
Cruciale la partita sull’affluenza referendaria
di Marcello Sorgi
Se
perdo il referendum, lascio la politica, dice Matteo Renzi a Repubblica
tv. La campagna per il voto popolare che seguirà, a ottobre,
l’approvazione definitiva delle riforme costituzionali prevista per
aprile, è partita con grande anticipo, complice la presentazione del
comitato per il No avvenuta in concomitanza con la terzultima votazione
alla Camera.
Le campagne referendarie, va detto, hanno
caratteristiche molto diverse da quelle elettorali, innanzitutto perché
in campo ci sono schieramenti trasversali, e non, come avviene nelle
votazioni politiche o amministrative, coalizioni di opposto orientamento
politico (oltre, naturalmente, al Movimento 5 stelle, novità degli
ultimi tempi). Così accanto a Renzi saranno schierati gli alleati di
governo, da Scelta civica ai centristi a Ncd, e quelli più recenti
fuorusciti dal centrodestra. Mentre per il No muoverà l’inedita
alleanza, come i renziani hanno già fatto notare, tra sinistra radicale,
costituzionalisti e intellettuali storicamente antiberlusconiani come
Rodotà e Zagrebelski, M5s e quel che resta del centrodestra
berlusconiano.
I due schieramenti si confrontano, prima che sui
contenuti, sull’affluenza: Renzi mira a portare al voto più della metà
degli elettori, anche se il referendum costituzionale, diversamente da
quello abrogativo, non richiede il quorum della metà più uno; e il
fronte del No, all’opposto, a far sì che la partecipazione sia più
ridotta, in modo da poter dire, anche in caso di sconfitta, che quella
passata non è la riforma approvata dalla maggioranza degli italiani.
Polemiche di questo genere si trascinano dai tempi del plebiscito
monarchia-repubblica, il cui risultato, non a caso, rimase in forse per
qualche giorno, e almeno in sede storica è stato a lungo contestato.
L’altro
obiettivo, questo sì, giocato sui contenuti della riforma, è di
spostare da una parte o dall’altra pezzi di elettorato che si sentono
meno vincolati, nel voto referendario, dalle indicazioni dei rispettivi
partiti. Non dovrebbe essere difficile, ad esempio, convincere una parte
del largo elettorato dell’antipolitica che votare No equivale a
difendere in blocco ciò che abitualmente si condanna, cioè l’attuale
sistema e il bicameralismo su cui si regge. Alla fine della campagna in
genere arrivano gli annunci più forti, come appunto quello fatto ieri
dal premier, che ricorda un po’ il Craxi del referendum sulla scala
mobile dell’85 (”Se perdo il referendum non resterò un minuto di più
alla guida del governo”). Ecco: se Renzi s’è risolto a cominciare,
invece che concludere, la campagna referendaria così, vuol dire che
considera la posta in ballo davvero decisiva per il suo destino.