La Stampa 10.1.16
“Ma per il Paese i nuovi arrivi sono un’occasione di rilancio”
Il sociologo De Rita: dobbiamo sforzarci di capirli
di Giacomo Galeazzi
Se
non sprofonda nel populismo per cinico tornaconto elettorale, l’Italia
trasformerà l’immigrazione in occasione di rilancio». Da 50 anni il
sociologo Giuseppe De Rita decifra dinamiche e fenomeni: ricerche e
indagini del Censis da lui fondato. «La demagogia fa danno».
Clandestini. Si cambia?
«Nessun
dato può dimostrare l’efficacia del reato di clandestinità.
L’immigrazione non è terreno per scontri elettorali: è irresponsabile
alimentare l’emotività per il consenso. I flussi possono essere
tamponati, non negati. Nessuna legge risolverà la questione una volta
per tutte. La Bossi-Fini doveva durare decenni, invece è stata
superata».
Ai semafori e nelle stazioni gli stranieri chiedono l’elemosina…
«Segmenti
di povertà radicale ci sono sempre stati. Prima erano nomadi o
immigrati dal sud. Gli stranieri hanno occupato spazi di povertà che ci
sono sempre stati. Prima i lavavetri erano rom, ora clandestini. Di
notte alle pompe di benzina c’è stato un avvicendamento tra le fasce di
marginalità. La mancata integrazione ha cambiato nazionalità. Stesso
problema».
Nelle prime ondate i lavavetri erano quasi tutti polacchi. Ora?
«Per
i flussi dell’Est Europa c’è stata un’integrazione veloce. Per stili di
vita, cultura e religione erano più facili da assimilare e così sono
entrati nell’ingranaggio dell’artigianato e della piccola impresa
lasciando il posto ai nuovi arrivati africani. Rispetto al resto dell’Ue
abbiamo caratteristiche che favoriscono l’integrazione. L’Italia è un
paese molecolare e non strutturato in gruppi, categorie e
stratificazioni come la Francia o la Germania. Abbiamo milioni di
piccole imprese,8mila comuni, una scuola elementare uguale per tutti.
Stiamo meglio di altri».
C’è differenza tra generazioni?
«L’impatto
dell’immigrazione si decomprime quanto più viene diffuso. Gli immigrati
salgono la scala sociale rilevando piccole imprese. Gli immigrati di
seconda generazione occupano gli stessi settori dei datori di lavoro dei
loro padri. Il loro ascensore sociale è diventare piccoli imprenditori
edili, commercianti, artigiani. A Roma e Milano quasi tutti i negozi di
frutta sono stati ceduti dai titolari italiani ai loro lavoranti
cingalesi, egiziani, marocchini. Già negli anni del boom economico
c’erano italiani che rifiutavano il rifugio notturno per dormire sotto i
ponti. E’ la stessa quota odierna che radicalizza la marginalizzazione.
E’ da sempre un mondo con dinamiche interne. Ben prima
dell’immigrazione».
Quale differenza tra marginali?
«C’è chi
gestisce gli sbarchi e chi organizza i mendicanti. Molti immigrati non
capiscono come viviamo. Diamo l’impressione di egoismo narcisista,
ludico, privo di sobrietà. Per chi ha attraversato mari e deserti appare
scandalosa offesa. Il nostro etnocentrismo ci impedisce di comprenderli
e ciò che non si conosce, fa paura. Non dobbiamo delegare solo agli
immigrati lo sforzo di capire e superare le diversità. Dobbiamo farlo
anche noi. Con l’immigrazione bisogna fare i conti. Sarà una storica
chance di crescita».