La Stampa 10.1.16
Il referendum non è un voto politico
di Ugo De Siervo
Non
mancano gli equivoci su cosa sia il referendum costituzionale, da
quando Renzi ha caricato di alta politicità il prossimo referendum
sull’ampio testo di revisione costituzionale.
Testo che dovrebbe
essere approvato in via definitiva dal Parlamento nella prossima
primavera. Vale allora la pena anzitutto di cercare di spiegare in che
consista e quale sia la funzione di questo referendum disciplinato
dall’art. 138 della Costituzione, la disposizione che prevede come si
possa modificare il nostro testo costituzionale.
Nel
costituzionalismo contemporaneo è diffusa la tutela della cosiddetta
rigidità costituzionale, cioè della maggiore stabilità delle
disposizioni costituzionali rispetto a tutte le altre disposizioni
legislative, pur prevedendosi apposite procedure per eventualmente
modificare le disposizioni costituzionali per adeguarle alle
trasformazioni sociali e culturali che siano ritenute tali da imporre un
mutamento della Costituzione. Nel nostro sistema si prevede l’obbligo
di una doppia approvazione del medesimo testo di revisione da entrambe
le Camere, la necessità che nella seconda si consegua almeno la
maggioranza assoluta dei Deputati e dei Senatori, l’agevole possibilità
di un referendum popolare prima che la riforma costituzionale divenga
efficace, salvo il caso che vi sia stato addirittura il voto favorevole
di due terzi di Camera e Senato, nel qual caso si procede subito alla
promulgazione della revisione costituzionale. Le facilitazioni per
questo referendum consistono nella possibilità che esso può essere
chiesto anche da un quinto dei Deputati o dei Senatori (e non solo da
cinquecentomila elettori o da cinque Consigli regionali) e dal fatto che
non viene richiesto un quorum minimo di partecipanti alla votazione
referendaria (come è noto, invece, per i referendum abrogativi delle
leggi ordinarie è necessario che voti la maggioranza degli elettori),
così affidandosi la decisione a coloro che votino.
Tutto ciò
risponde a precise logiche istituzionali: nel caso dei referendum
abrogativi di leggi ordinarie il Parlamento, che quella legge mantiene
in vita, è organo rappresentativo del corpo elettorale e quindi può
essere contraddetto solo da una decisione assunta da una frazione ampia
del corpo elettorale e su richiesta di soggetti estranei alla normale
dialettica parlamentare. Invece, nel caso della revisione della
Costituzione, che costituisce un comune patrimonio per la società
nazionale, la possibilità di mutare le regole costituzionali è affidata
ad una procedura più meditata ed anche all’esistenza di una sicura ed
ampia maggioranza favorevole al mutamento: la regola è che si consegua
la maggioranza molto ampia di due terzi in entrambe le Camere; solo in
via eccezionale si prevede che si possa procedere anche solo a
maggioranza assoluta, ma in questo caso la richiesta referendaria è
assai più agevole e soprattutto la maggioranza che ha voluto la
revisione costituzionale deve misurarsi con la volontà liberamente
espressa dal corpo elettorale, formato dai titolari dei diritti
costituzionali, senza che ci si possa nascondere dietro a quorum minimi
di partecipazione. In altri termini: la maggioranza che adotta un testo
di revisione costituzionale senza riuscire a coinvolgere nel voto finale
almeno una parte sufficiente delle altre forze deve dimostrare di saper
prevalere anche nel momento referendario.
E certo le esperienze
fatte nel 2001 (conferma della legge di revisione costituzionale
contestata dalla nuova maggioranza politica) e nel 2006 (bocciatura
della legge che era stata approvata) stanno a dimostrare che in materie
del genere si ha una partecipazione elettorale diversa da quella che si
ha nelle elezioni politiche e che possono manifestarsi maggioranze che
non corrispondono a quelle espresse anche in recenti elezioni
parlamentari.
Si può allora capire perché sia sbagliato e
pericoloso cercare di trasformare questo istituto, per sua natura
oppositivo, in un tentativo di conseguire un plebiscito a favore di
coloro che hanno adottato con fatica un evidentemente discusso testo di
modifica della Costituzione. Ma soprattutto occorre misurarsi sul
contenuto dell’ampia revisione che dovrebbe giungere alla valutazione
popolare.
«Senza il quorum il potere si dà, in assenza
d'una maggioranza assoluta, ad una maggioranza relativa. Cioè si dà un
premio alla maggioranza delle minoranze così come avviene nella legge
elettorale con il premio non a chi ha il 50 più 1 dei voti ma a chi ha
il 40. Si premia una minoranza? No, si premia la maggioranza relativa e
la si rende schiacciante visto che non poteva avere i due terzi del
Parlamento.»
«Andranno a votare solo gli elettori abbienti e le clientele dei vari emirati»