Il Sole Domenica 24.1.16
Sotto il segno di Copernico
Una
splendida edizione critica dell’«opera-mondo» che rivoluzionò
l’astronomia e l’umanità. La Chiesa l’avrebbe condannata nel 1616, ma
l’autore fu incoraggiato a uscire allo scoperto dal cattolico Nicolas
Schönberg
di Massimo Bucciantini
Il 21 marzo 1543
Sébastien Kurtz, agente dei banchieri Fugger alla corte imperiale,
informava Carlo V dell’imminente pubblicazione a Norimberga di un libro
che certamente lo avrebbe incuriosito: «Niccolò Copernico, matematico,
ha dato in questi giorni alle stampe sei libri de Revolutionibus orbium
coelestium. E si tratta di una cosa non meno meravigliosa che nuova, e
mai vista, né intesa, né pensata, che il Sole sarebbe il centro di tutto
e che non si muove come si è sempre creduto, e che il nostro mondo si
muove sullo zodiaco esattamente come fino a oggi ha fatto il Sole».
Kurtz, che conosceva la passione per l’astronomia dell’imperatore,
decideva di inviargliene un esemplare, convinto che sarebbe stato felice
di apprendere la nuova concezione del mondo «di questo autore che molti
matematici lodano» e attraverso la quale «si spiegano più facilmente
tutti i movimenti del cielo».
Che fine abbia fatto quella copia
non è noto. Nella Biblioteca San Lorenzo dell’Escorial si trova una
prima edizione del De revolutionibus, ma non si tratta della copia
spedita all’imperatore, bensì di quella acquisita nel 1545 dal figlio
Filippo II. Né si sa, e sarebbe cosa più importante, se Carlo V lesse
mai il libro. A cominciare da quell’anonimo Avvertimento al lettore che –
come osservò Tiedemann Giese, vescovo di Culm e amico fraterno di
Copernico – tradiva completamente il pensiero dell’autore.
Giese
fu il primo a denunciare quel “crimine”, che trasformava l’indagine su
un universo considerato vero e reale in un’ingegnosa ma fittizia ipotesi
matematica introdotta al semplice scopo di salvare le apparenze dei
movimenti celesti. Si sbagliava solo su un punto: ne addossò la
responsabilità allo stampatore Johannes Petreius invece che al teologo
luterano Andreas Osiander. Per il resto aveva visto giusto, tanto che
nel difendere l’onorabilità dell’amico appena scomparso si rivolse
perfino al Senato di Norimberga. All’insaputa dell’autore era stata
compiuta un’operazione indegna, che svuotava di significato una vita
spesa a «osare d’immaginare qualche movimento della Terra, contro
l’opinione universalmente accolta dai matematici e contro il senso
comune». Una vera e propria impostura che contraddiceva la nova ratio
mundi ricercata ossessivamente da Copernico e che, nella prefazione a
Paolo III, gli faceva dichiarare in modo solenne: «quanto più assurda
apparirà ora la mia dottrina sul movimento della Terra, tanta maggiore
ammirazione e gratitudine riceverà una volta che si sarà vista
l’edizione dei miei commentari in cui le tenebre delle assurdità saranno
dissolte con chiarissime dimostrazioni».
Nessuno prima di lui
aveva accettato di correre un simile rischio. A nessuno era mai venuto
in mente di realizzare un progetto così ambizioso e al tempo stesso
considerato dai suoi contemporanei così assurdo. Da solo, per giunta, e
in un momento per tanti versi ostile ad accogliere tali novità Copernico
confezionò un libro che – per riprendere una fortunata immagine di
Franco Moretti – è davvero un’opera-mondo. Che fin da subito venne
etichettato come il nuovo Almagesto. E il suo autore come un nuovo
Tolomeo. E come quest’ultimo sarebbe diventato altrettanto grande, anzi
più grande ancora, a tal punto che toccò a lui, dopo quattrodici secoli
di incontrastato dominio, decretarne l’inesorabile tramonto.
Sotto
il segno della grandezza va inscritto anche questo lavoro appena
uscito. Senza retorica va detto che oggi Copernico ha finalmente trovato
una “casa” degna della sua straordinaria impresa. Grazie a questa
edizione – frutto di anni di studio da parte di un gruppo di specialisti
nel campo dell’astronomia, della matematica, della filologia, della
storia e della filosofia coordinato da Michel-Pierre Lerner,
Alain-Philippe Segonds e Jean-Pierre Verdet – il De revolutionibus torna
di nuovo a parlarci. Una sfida, anch’essa, che non era affatto scontato
vincere, e che suona come una mirabile conferma – semmai ce ne fosse
ancora bisogno – di come la cultura sia una, e di come solo dalla
collaborazione di forze intellettuali diverse possano nascere opere di
questo valore. La ricostruzione di questa opera-mondo si compone di tre
volumi. Il secondo e il terzo contengono il testo con traduzione
francese a fronte, un ampio commento e un vasto apparato di note e
appendici di documenti e materiale iconografico. Il primo, invece, è di
fatto un libro su Copernico, dove per la prima volta sono indagati in
modo esaustivo sia i molteplici aspetti della sua biografia sia le
numerose tracce della circolazione europea che il libro ottenne fino
alla condanna decretata dal Sant’Uffizio romano il 5 marzo 1616.
L’intricata
e in gran parte sconosciuta genesi del De revolutionibus ha giustamente
meritato l’attenzione (e la fantasia) di uno scrittore come John
Banville (il suo Doctor Copernicus sta finalmente per uscire in Italia
da Guanda). Non sappiamo infatti quando Copernico prese la decisione di
pubblicare un trattato di astronomia paragonabile all’Almagesto di
Tolomeo, ovvero un’opera che doveva contenere, accanto all’esposizione
di un nuovo sistema cosmologico, «un catalogo delle stelle fisse, le
dimostrazioni matematiche dei movimenti planetari sia in longitudine che
in latitudine e, infine, le tavole di tali movimenti». Si sa che l’idea
originaria era quella di stampare soltanto queste ultime, sul modello
delle tolemaiche Tavole alfonsine, ma fondate sulla dottrina del
movimento della Terra. L’incoraggiamento a fare di più, ad abbandonare
ogni prudenza e a rendere pubblici i principi della sua concezione del
mondo, «diametralmente opposta alle ipotesi degli Antichi», gli venne da
un personaggio di primo piano della Chiesa cattolica: Nicolas
Schönberg. Nominato cardinale da Paolo III nel 1535, e in precedenza
legato pontificio in Germania, Ungheria e Polonia (dove forse incontrò
Copernico), nel 1537 partecipò al Concilio di Trento, e fu uno dei pochi
– secondo la testimonianza di Melantone – a schierarsi a favore di
alcune concessioni nei confronti dei luterani. Nel novembre 1536, da
Roma, Schönberg scrisse una lettera a Copernico, invitandolo a
comunicare quanto prima agli studiosi la sua dottrina del mondo, nella
quale si insegna che «la Terra si muove e l’ottavo cielo rimane
perpetuamente immoto e fisso».
Difficile sapere cosa avrebbe fatto
Copernico se non avesse ricevuto questa lettera che custodì gelosamente
per sette anni e poi volle riprodurre proprio all’inizio dell’opera.
Assai meno incerto è invece il giudizio – e lo conferma anche questo
lavoro – sul ruolo svolto da Georg Rheticus nella stampa del De
revolutionibus. L’entusiasmo e la determinazione del giovane matematico
luterano proveniente dall’università di Wittenberg, che alla fine di
maggio del 1539 si recò nella cattolicissima Warmia per conoscere il
canonico e astronomo polacco, furono decisivi. Sua l’idea di fornire una
breve esposizione della concezione eliocentrica che anticipasse
l’uscita dell’opera del maestro. E fu un successo: ben due edizioni nel
giro di due anni. Senza la Narratio prima di Rheticus molto
probabilmente il De revolutionibus avrebbe fatto la fine del
Commentariolus redatto da Copernico prima del 1514: sarebbe rimasto
manoscritto e la sua circolazione non sarebbe andata oltre la ristretta
cerchia di matematici e astronomi.
L’opera venne pubblicata a
Norimberga nella primavera del 1543. A portare una copia del manoscritto
nella città tedesca e poi a seguirne la lunga e delicata fase della
stampa toccò a Rheticus. Almeno fino a quando, nell’agosto del 1542, non
venne richiamato a Wittenberg, lasciando così Andreas Osiander libero
di mettere in atto la sua strategia editoriale. Alla fine di quello
stesso anno Copernico si ammalò gravemente. La morte lo colse il 24
maggio 1543. Come scriverà Giese a Rheticus il 26 luglio, una grave
paralisi lo aveva colpito lungo tutta la parte destra del corpo e già da
qualche tempo aveva perso la memoria. Crudeltà della sorte volle che
l’opera arrivasse a Frombork proprio nei suoi ultimi giorni. Copernico
la poté vedere e sfogliare solo poche ore prima di morire. Forse senza
neppure rendersi conto che tra le sue mani c’era il suo libro, il libro
di un’intera vita.
Niccolò Copernico, De revolutionibus orbium
coelestium. Des révolutions des orbes célestes , édition critique,
traduction et notes par Michel-Pierre Lerner, Alain-Philippe Segonds et
Jean-Pierre Verdet, Les Belles Lettres, Paris, voll. 3
(pagg. XXVIII 859, VIII 536, XVIII 783), € 199