domenica 17 gennaio 2016

Il Sole Domenica 17.1.16
Studi danteschi
Cesare, eroe della Commedia
di Carlo Ossola

Nel poema la storia di Roma è concepita unitariamente: la fase repubblicana prepara l'impero, completando il disegno divino. Uno studio di Luciano Canfora sulla biblioteca latina del poeta
«I’ vidi Eletra con molti compagni, / tra ’ quai conobbi Ettòr ed Enea, / Cesare armato con li occhi grifagni» (Inf., IV, 121-123): occhi grifagni poiché - come vuole il Buti e ricorda Luciano Canfora - sono «alla guatatura spaventevole ad altrui». Non tanto dunque occhi «rossi come fuoco» (secondo il Tesoro di Brunetto Latini), ma piuttosto di «aspectus terribilis» (Bambaglioli). E qui Canfora convoca un altro scenario, non quello del «nobile castello» dei «savi» della classicità, bensì quello manzoniano dei bravi che attendono Renzo sulla soglia dell’osteria: «Quando Renzo e i due compagni giunsero all’osteria, vi trovaron quel tale già piantato in sentinella, che ingombrava mezzo il vano della porta, appoggiata con la schiena a uno stipite, con le braccia incrociate sul petto; e guardava e riguardava, a destra e a sinistra, facendo lampeggiare ora il bianco, ora il nero di due occhi grifagni» (I promessi sposi, cap. VII). Il ricordo dantesco in Manzoni, ricondotto dallo sguardo del grande stratega al ceffo della plebaglia del malaffare, potrebbe ricalcare l’intento di piegare i potenti tutti - come il Napoleone del Cinque maggio – al «disonor del Golgota»; ma è da notare, come è stato proposto, che allorquando egli deve mettere in scena il fulmineo agire di quel grande («Dall’Alpi alle Piramidi…»), altro non possa fare che ricorrere (e questa volta su un registro ben alto) al Cesare di Dante: «Maria corse con fretta a la montagna; / e Cesare, per soggiogare Ilerda, / punse Marsilia e poi corse in Ispagna» (Purg., XVIII, 100-102).
Ben più di Manzoni, è Dante qui a collocare il modello di Cesare accanto a quello di Maria che s’affretta presso Elisabetta: come se quella “ansia di compimento” fosse propria della salvezza temporale e di quella eterna, congiunte ab origine in uno stesso disegno provvidenziale, secondo il testo del Convivio: «E però che ne la sua venuta nel mondo, non solamente lo cielo, ma la terra convenia essere in ottima disposizione; e la ottima disposizione de la terra sia quando ella è monarchia, cioè tutta ad uno principe, come detto è di sopra; ordinato fu per lo divino provedimento quello popolo e quella cittade che ciò dovea compiere, cioè la gloriosa Roma» (IV, V, 4).
Il mito di Cesare, nella Commedia, è tutt’uno con l’unità armonica della venuta salvifica, che fu al tempo del Cristo e che ora non si può che compiangere: «Vieni a veder la tua Roma che piagne / vedova e sola, e dì e notte chiama: / “Cesare mio, perché non m’accompagne?”» (Purg., VI, 112-114). L’interrogazione finale ricapitola del resto la visione politica che Dante enuncia nitidamente poche terzine sopra: «Ahi gente che dovresti esser devota, / e lasciar seder Cesare in la sella, / se beni intendi ciò che Dio ti nota» (Purg., VI, 91-93). Qui Dante si riferisce certo a Matteo, 22, 21: «Reddite ergo quae sunt Caesaris, Caesari; et quae sunt Dei, Deo»; ma c’è di più: e cioè che la translatio fidei da Gerusalemme a Roma fu fatta per armonizzare e non per sovrapporre o perché la nuova Gerusalemme dovesse assorbire l’antica Roma. Ecco perché il modello e il mito di Cesare (eponimo ora di quello dell’Impero) attraversa tutta la Commedia e si suggella nei celebri versi del Paradiso: «Poi, presso al tempo che tutto ’l ciel volle / redur lo mondo a suo modo sereno, / Cesare per voler di Roma il tolle» (Par., VI, 55-57). È l’inizio dell’epico prorompere della storia e delle vittorie di Cesare (Par., VI, 55-81), ricapitolazione mirabile di molte imprese e di una vita che ancora sarà modello al Napoleone del Manzoni: «Da indi scese folgorando a Iuba». Il Buti, nel suo commento, insiste giustamente su quel momento, su quel «redur lo mondo a suo modo sereno»: «ma notantemente dice tutto ’l Cielo: imperò che, a mutare lo reggimento del tutto, conveniano correre tutte le cagioni insieme; e dice: a suo modo sereno, perchè lo cielo è retto e governato da uno signore, e così volse lo cielo redur lo mondo che in tutto ’l mondo fusse uno monarca. Cesari».
Per questo il libro di Luciano Canfora è importante: non tanto e non solo perché restituisce una fonte importante per il mito di Cesare nella Commedia , e cioè quella di Svetonio, ma perché riafferma la «Centralità di Cesare» (penultimo capitolo) nell’economia della visione dantesca, capace di sanare la contraddizione che pure esiste tra il trionfo di Cesare e l’elogio di Catone, pure da questi sconfitto sino a costringerlo, per coerenza di libertà, al suicidio: «Dante compone questo dissidio in una visione più alta. Nel superamento di questa contraddizione – scrive Canfora - si manifesta e prende corpo quello che potremmo definire il sincretismo storiografico di Dante alle prese con la storia di Roma: una storia da lui concepita unitariamente, in cui la fase repubblicana non solo precede cronologicamente ma prepara l’impero. L’impero è per lui parte essenziale di un disegno divino, e Cesare ne rappresenta il motore principale».
Resta un fascinoso tema che Canfora solleva in poche dense pagine: Se Dante ha letto Tacito. Lo studioso evoca la presenza a Montecassino del manoscritto (oggi alla Laurenziana) che contiene parte delle Historiae di Tacito (I –V), ricorda la perfetta descrizione dei luoghi stessi in Paradiso XXII, e sottolinea come nessuno, prima del Dante del Monarchia avesse ripreso l’attacco delle Historiae tacitiane: «Opus adgredior opimum casibus, …», così riscritto da Dante: «Arduum quidem opus et ultra vires aggredior…». Come per ogni novità esegetica intorno ai classici, si possono evocare intermediazioni patristiche (e c’è chi, Pieter Smulders, ha suggerito di convocare la prefazione dell’ Opus Historicum di Ilario di Poitiers); ma intanto resta questa conquista e ancora un lungo compito, sollecitato da Canfora: «La “biblioteca latina” di Dante non smette di riservare sorprese». Anche per questa preziosa tessera si conferma la tesi di Ernst Robert Curtius: che Dante sia stato il supremo suggello di tutta la tradizione latina, classica e medievale.
Luciano Canfora, Gli occhi di Cesare. La biblioteca latina di Dante , Salerno Editore, Roma, pagg. 104, € 8,90