Il Sole Domenica 17.1.16
D.H. Lawrence (1885-1930)
Emancipazioni in chiaroscuro
«L’arcobaleno», splendido romanzo dell’autore di «L’amante di Lady Chatterly», uscì cento anni fa e fu censurato e condannato
di Renzo S. Crivelli
È
l’imbrunire, siamo in Inghilterra nella campagna settentrionale tra il
Derbyshire e il Nottinghamshire, a fine Ottocento. Due giovani
innamorati, l’agricoltore Will e la sua promessa sposa Anna, decidono di
raccogliere covoni alla luce tenue della luna. Lo fanno
automaticamente, senza neppure accorgersene, partendo da punti diversi,
avvicinandosi con il loro fascio di spighe da deporre al bordo del
campo. I loro movimenti li portano a sfiorarsi, ma mai a coincidere:
sembra stiano tessendo una trama a loro sconosciuta governata dalla
natura. Tant’è che, «quando Will arriva al punto dove li ha deposti,
Anna è già lontana, e a sua volta è lui a dipartirsi, quando lei si
avvicina». Tutti e due si cercano e si separano. «Non c’è che il loro
andirivieni assorto alla luce lunare, il loro moto pendolare e
silenzioso, nel quale i tonfi dei mazzi si alternano ai silenzi». Questa
scena sta al centro di uno dei più bei romanzi di D. H. Lawrence,
L’arcobaleno, uscito esattamente cento anni fa, e subito censurato e
condannato dal Tribunale a essere distrutto (mille copie furono bruciate
pubblicamente davanti alla Borsa di Londra).
È una sequenza
bellissima, incentrata sui chiaroscuri, con una particolare attenzione
al gioco d’ombre lunare. Vi si respira tutta la natura istintuale che il
grande scrittore inglese, autore di opere memorabili come Figli e
amanti, L’amante di Lady Chatterley, Il serpente piumato, ha inseguito e
ritratto per tutta la vita, creando personaggi trasgressivi e affamati
di libertà (è tra i grandi innovatori, se non della forma, dei contenuti
alla pari di Virginia Woolf e James Joyce). I fili che Lawrence sta
muovendo nell’aria, maschile e femminile, sembrano costruire una
tessitura che, inesorabilmente, ogni volta che i due capi stanno per
inanellarsi, si sfrangia e scompare. Infatti, ci troviamo di fronte ad
un’originalissima metafora dell’impossibilità, da parte dei due amanti,
di congiungersi totalmente: anima e corpo, di appartenere l’uno
all’altra sino a sovrapporsi per sempre.
L’arcobaleno è una saga
complessa, che attraversa tre generazioni, guidandoci tra Otto e
Novecento nell’arduo passaggio da una società agricola a una società
industriale i cui guasti vengono percepiti da Lawrence in modo
drammatico (anche questo è uno dei temi “forti” dello scrittore). Vi si
narra la storia della dinastia famigliare dei Brangwen tra il 1840 e il
1905, nella collocazione geografica delle Midlands Orientali
dell’Inghilterra, in una zona densa di miniere. Si comincia con Tom
Brangwen, un operaio che sposa Lydia, rifugiata polacca, da cui ha la
figlia Anna, una donna irrequieta (ma tutte le donne di Lawrence lo
sono) che si unisce a Will in un rapporto difficile, particolarmente
indagato dal punto di vista femminile. Per poi approdare, nella terza
parte, al personaggio più problematico del romanzo, quello di Ursula,
che si affaccia sul nuovo secolo e rappresenta la figura più acculturata
dei Brangwen (studia in un college). La sua psiche irrequieta e
sensibilissima — che troverà nel romanzo seguente di Lawrence Donne in
amore un ulteriore approfondimento — viene indagata alla luce dei primi
movimenti inglesi di emancipazione della donna (in linea con gli assunti
di Woolf) e presenta molti elementi di rottura: è convinta della
“separatezza” ideologica fra uomo e donna, sperimenta un amore lesbico
con la propria insegnante, “subisce” un rapporto amoroso con Anton
Skrebensky (anglo-polacco come la nonna Lydia, ingegnere del genio
coinvolto nell’esercito), da cui si emancipa psicologicamente (e
fisicamente, lasciandosi attraversare dalla sessualità più accesa ma non
soggiacendo ad essa).
Ciò che affascina nella lettura di questo
splendido romanzo (lungo ma godibile ad ogni “quadro” descrittivo,
magistrale nella raffigurazione della natura) è il motivo
dell’implacabile lotta fra uomo e donna. Ci sono pagine in cui
l’attrazione-repulsione fra i sessi, al culmine in cui il piacere è
naturalmente volto al possesso dell’altro, trova pagine sublimi (non
solo quella dei covoni). Basti citare: «La baciava al ritmo del proprio
sangue, ma lei non era sopraffatta: quanta luce di luna su di lei,
quanta oscurità dentro di lei!» (Will e Anna); «Per lei l’emancipazione
della donna rivestiva un significato veramente profondo e autentico: lei
sentiva di non essere libera, ma aspirava a esserlo» (Ursula). E
ancora: «Dopo ogni amplesso aumentava in lei il desiderio angoscioso di
lui; e lui si sentiva più profondamente, più forsennatamente legato a
lei e scemava la speranza di domarla» (Ursula e Anton).
E alla
fine Ursula, in questa sua disperata ricerca di un’indipendenza
intellettuale e sessuale che deve trovare mediazione nell’equilibrio fra
“ragione e sentimento” (un richiamo forse inconscio a Jane Austen, per
correggerne l’ideologia), avrà una straordinaria visione, che dà il
titolo al libro: un arcobaleno che campeggia su una terra «putrida»,
foriero di una nuova futura armonia fra i due poli, maschile e
femminile.
D.H. Lawrence, L’arcobaleno , trad. di Lidia Storoni Mazzolani, Elliot, Roma, pagg. 506, € 19,50