Il Sole Domenica 17.1.16
Medievalia
Tra Boezio e Liutprando
Il rapporto tra libertà, necessità e contingenza è ancora al centro dell’interesse di logici e filosofi
di Maria Bettetini
I
primi furono scrittori di corte, dediti ad annotare le gesta dei
regnanti, per esempio Callistene al seguito di Alessandro Magno, nel V
secolo a.C. le guerre persiane di Erodoto, detto da Cicerone «il padre
della storia». Giulio Cesare non si fidava invece di nessuno, e avrebbe
fatto meglio a essere ancora più diffidente dei suoi amici, quindi
scrisse di sé in terza persona, nel De bello gallico. La storia nacque
per esaltare qualcuno, denigrare altri, trarre insegnamenti morali dalla
«maestra della vita». Il cristianesimo apparentemente seguì questo
indirizzo, infatti nella Città di Dio Agostino di Ippona riempie metà
dell’opera dileggiando le superstizioni romane e i concetti filosofici
pagani. Però con una fondamentale differenza: per la prima volta si
parla di senso della storia, di inizio e fine, si fa teologia (e
filosofia) della storia. Da questo punto di vista, il Medioevo si
presenta come fervido vivaio di resoconti bellici e “cortesi”, insieme
alla riflessione sul senso dello scorrere del tempo. Con Boezio, già tra
V e VI secolo, si pone e risolve una questione appassionante, ancora
terreno di dibattito nelle teologie della Riforma, il tema del futuro:
se prevedibile, previsto, pre-determinato, insomma se necessario oppure
no. Proclo, e con lui gli ultimi grandi neoplatonici, aveva già dato una
possibile soluzione, Boezio ne confeziona una adeguata alla nuova
religione: Dio, nella sua eternità, intesa come un puntuale possesso di
tutto il tempo allo stesso tempo – mi scuso per la ripetizione -, Dio
dunque “vede” già tutto il futuro, ma non vi interviene come un
burattinaio. Il fatto di sapere già quale sarà la mia scelta morale
questo pomeriggio (telefonerò all’anziana zia che poi parla per un’ora,
ma che brama una telefonata?) non mi costringe a decidere per l’una o
l’altra opzione. Sembrerebbe tutto molto chiaro: Lui sa, io no e decido
liberamente. I problemi sorgono poi nel definire come e perché
quell’assoluta sapienza si possa intersecare allo scorrere del tempo: ma
che libertà è se Dio sa già tutto? E allora perché non interviene per
evitare le cose malvagie? E perché dovrebbe ascoltare una preghiera?
L’enorme abisso del male. Boezio non ha dubbi, infatti Filosofia (nella
Consolazione) conclude che «non inutilmente sono riposte in Dio speranze
e preghiere, le quali, quando sono rette, non possono essere prive di
efficacia». Approfondire porterebbe ad altre storie, qui interessa la
storia. Ecco due pubblicazioni che perfettamente rendono la duplice
valenza della storia nel Medioevo. La prima è uno studio di Riccardo
Fedriga, che prende spunto dalle parole di Boezio per seguire il tema
della necessità o contingenza del futuro nelle opere di Sigieri, di
Tommaso d’Aquino, soprattutto di Duns Scoto e del dibattito sul
fatalismo di Ockham. Temi di obsoleta teologia? Non parrebbe, se
nell’ultimo capitolo Fedriga espone con chiarezza i contributi a
proposito di libertà e contingenza di logici e filosofi a noi
contemporanei. Su tutt’altro versante, la pubblicazione dell’Antapodosis
di Liutprando per la cura di Paolo Chiesa. Noto come Liutprando di
Cremona, la città di cui fu vescovo, nacque a Pavia intorno al 920, in
una agiata famiglia di mercanti. Sono anni intensissimi, il Regno
d’Italia sfuggito allo scettro dei Carolingi è sballottato tra
pretendenti franchi, germanici, e tra i feudatari dell’Italia stessa.
Liutprando ha la fortuna di poter studiare, quindi viene inviato almeno
due volte in missioni paradiplomatiche a Costantinopoli. Trova posto a
corte, ma a breve ha un forte contrasto con il re Berengario e sua
moglie Guilla. Da qui l’esilio e il rifugio alla corte di Ottone I, re
di Germania. Qui, nel 958, inizia a scrivere l’Antapodosis, il cui
titolo è spiegato nel III libro: come si legge in Isaia tradotto dai
Settanta, l’Antapodosis è il vendicatore mandato da Dio, la giusta
retribuzione per i malvagi. Liutprando vuole, con la sua penna, compiere
giustizia, dato che quella umana non arriva e per quella divina c’è
troppo da aspettare. Quindi per Ottone solo parole di devota
sottomissione e di lode, per Berengario e Guilla disprezzo che arriva a
metterli in ridicolo. La particolarità di queste cronache, infatti, è il
doppio registro, si tratta di una delectabilis historia e insieme una
storia esemplare, che insegna una morale raccontando fatti veri o
verosimili accaduti nella prima metà del X secolo, nelle corti
frequentate da Liutprando. Per lo stile, l’autore di riferimento è
Terenzio, insieme ai poeti (Virgilio, Orazio, Giovenale), ai retori
(Cicerone su tutti), ai Padri della Chiesa, fino alla Consolazione di
Boezio, citato addirittura nel prologo. Il risultato è davvero
originale, per questo ecclesiastico che non esita a piegare la storia e i
personaggi a suo uso, che fa sapere a tutti di conoscere il greco, di
essere colto, di avere subito molte, troppe ingiustizie. E allora,
abbasso gli italici: «perché sempre gli Italici vogliono avere due
padroni per tenere a freno uno con la paura dell’altro». Un’analisi che
viene sempre utile. E poi Berengario, definito ironicamente «davvero
timorato di Dio», che sceglieva i vescovi con criteri suoi, e quanto
accorte fossero queste scelte «lo dichiarano, con gli effetti e coi
lamenti, i sudditi rapinati, le viti abbattute, gli alberi scorticati, i
tanti occhi cavati, le interminabili contese». E le donne, se non sono
intelligenti come quelle di Terenzio, sono però astute, capaci di
dominare tutti quei disgraziati uomini, siano re siano popolani. Se
infine avessimo dubbi sulla leggerezza della penna di questo autore del
Medioevo più oscuro, apriamo il quarto libro della sua Vendetta (o
Giustizia divina), all’inizio leggiamo: «Libro quarto. Buona lettura!»
(Incipit liber quartus feliciter).
Liutprando, Antapodosis , testo
latino a fronte, a cura di Paolo Chiesa, introduzione di Girolamo
Arnaldi, Fondazione Lorenzo Valla/Mondadori, Milano,
pagg. 568, € 30
Riccardo
Fedriga, La sesta prosa , discussioni medievali su prescienza, libertà e
contingenza , Mimesis, Milano – Udine, pagg. 236, € 20