Il Sole Domenica 17.1.16
Leopardi: natura non solo matrigna
di Armando Massarenti
Se
la vulgata sulla concezione della natura in Giacomo Leopardi si
riducesse al suo essere “matrigna“ (come ahinoi avviene in quasi tutte
le scuole) avremmo un’immagine assai misera del pensiero del poeta. Il
quale a tutti gli effetti, invece, ci appare grandissimo anche come
filosofo proprio se consideriamo la profondità e la continuità con cui
si è occupato delle varie scienze, dalle prime opere giovanili (la
Storia dell’astronomia, scritta a soli 13 anni) fino alla fine dei suoi
giorni. Gaspare Polizzi ha scritto un bellissimo libro intitolato Io
sono quella che tu fuggi (Edizioni di Storia e Letteratura, pagg. 136, €
17) in cui mostra «la ricchezza della concezione leopardiana della
natura e la presenza in essa di una trama di conoscenze scientifiche,
significativa rispetto al sapere del tempo e talmente efficace da
indirizzare non solo tante riflessioni sulla natura disseminate nello
Zibaldone, ma anche la filosofia della natura che emerge dalle Operette
morali, opera “filosofica, benché scritta con leggerezza apparente”
(Lettera ad Antonio Fortunato Stella, Recanati 6 dicembre 1826), e che
traspare, se pure nello stile “vago” e indefinito scelto dall’autore,
nei Canti e negli altri componimenti poetici».
Polizzi considera
giustamente Leopardi un ”filosofo naturale” nell’accezione che rinvia al
philosophe illuminista e mette in evidenza le competenze scientifiche
che contribuiscono all’originalità della sua filosofia: astronomia,
cosmologia, matematica, chimica, biologia, storia naturale, fisica,
tecnologia, storia della scienza, antropologia. La natura matrigna,
rappresentata da una «forma smisurata di donna» (la si vede
personificata anche nel film di Martone) è quella che, secondo la
vulgata, ha fatto tanto soffrire il poeta. Sottolineando questo aspetto,
non si capisce però quanta gioia ha dato a Leopardi lo studio delle
scienze, veicolo di un atteggiamento scevro da ogni forma di autoinganno
che pervade tutta la sua riflessione. Polizzi cita nella prefazione un
articolo del fisico Carlo Rovelli uscito su Domenica il 17 dicembre 2014
intitolato «Non possiamo non dirci naturalisti» dove il naturalismo è
definito come «l’atteggiamento filosofico di chi ritiene che tutti i
fatti che esistono possano essere indagati dalle scienze naturali, e noi
stessi siamo parte della natura. Non è naturalista chi assume realtà
trascendenti che possiamo conoscere solo attraverso forme non indagabili
dal pensiero scientifico». Una definizione che si attaglia
perfettamente al pensiero leopardiano. Le scienze predilette da Leopardi
erano l’astronomia, la chimica e la biologia. L’astronomia, più di ogni
altra scienza moderna, ha mostrato lo scarto tra gli errori che
commette il senso comune e le verità che la scienza può disvelare: «Ci
fa “vedere” un mondo che contraddice le nostre più elementari esperienze
sensibili e mette di conseguenza in discussione le certezze più
consolidate, tra le quali quella, fondamentale, del primato dell’uomo
nel cosmo. Il punto di vista dell’astronomia moderna permette così a
Leopardi di sviluppare fino alle più estreme conseguenze la potenza
della ragione critica». Nello Zibaldone (2/12 agosto 1823) si trova una
chiara indicazione del rilievo filosofico della “rivoluzione
copernicana” nel rapporto tra uomo e natura, che riconosce insieme la
piccolezza umana e il carattere “periferico” del nostro sparuto pianeta.
L’astronomia, ma anche la biologia (vi sono pagine che mostrano la
conoscenza di dispute che portano diritte al contesto da cui scaturì
l’idea darwiniana della vita) e la chimica (con Lavoisier come
protagonista) continuano a interessare Leopardi per tutta la vita.
Attraverso di esse prosegue la sua riflessione sul ruolo dell’errore (e
del suo superamento) nella crescita della conoscenza che iniziò
giovanissimo con il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi. Non
deve stupire se la moderna ragione scientifica e filosofica viene posta
in contrasto con la sapienza degli antichi, che peraltro furono
anch’essi campioni di naturalismo. È che la distruzione sistematica
degli “errori” - nota Leopardi - finisce per distruggere anche le
“illusioni” necessarie per vivere. Ma questa consapevolezza, da cui
deriva una riflessione assai matura sulla filosofia morale degli antichi
e di come possa essere utile ai moderni, non si trasforma mai in
Leopardi in critica all’unica fonte attendibile della nostra conoscenza,
che possiamo trovare solo nelle sue amate scienze.