Il Sole Domenica 17.1.16
Sepulveda (1490-1573)
Guerre in nome del Vangelo
di Armando Torno
Nel
1545, mentre si aprono i lavori del Concilio di Trento, termina la
stesura di un libro che legittima la guerra speciale per la conquista
del Nuovo Mondo. La pubblicazione è però ritardata dai domenicani. Il
suo autore, Juan Ginés de Sepulveda, aveva studiato anche a Bologna
seguendo gli insegnamenti di Pomponazzi; dal 1536 era diventato
storiografo di Carlo V, ma anche cappellano reale. Con Erasmo da
Rotterdam aveva avuto scambi di consensi e di critiche. Nel clima
umanistico di quell’epoca ha un suo peso, tanto che il cardinal Gaetano
lo incaricò tra il 1527 e il 1529 di rivedere il testo del Nuovo
Testamento.
Quel libro che dicevamo e che l’Università di
Salamanca nel 1547 ha l’incarico di vagliare, si intitola Democrates
alter. Oggi si dovrebbe subito precisare che contiene idee politicamente
scorrette. Si possono riassumere così: erano legittime le guerre contro
gli indigeni americani e lecito era catturarli come schiavi, data la
loro natura inferiore. Non entreremo nei dettagli e nelle questioni
sollevate dall’opera, che fu tradotta da Quodlibet nel 2009, aggiungiamo
soltanto che ora esce il primo Democrates di Juan Ginés de Sepulveda,
libro che vide la luce a Roma nel 1535. Ovvero nell’anno in cui Carlo V
strappò all’Impero Ottomano la città di Tunisi e giunse a Roma cercando
di convincere papa Paolo III, al secolo Alessandro Farnese, da poco
eletto, a convocare un concilio.
Questo primo trattato si presenta
con un titolo lungo, accattivante ed esplicativo,Democrate. Dialogo
sull’accordo tra la professione delle armi e la fede cristiana. Pone
questioni come la seguente: è possibile intraprendere una guerra tenendo
conto dei precetti evangelici? Respingendo gli ideali pacifisti di
Erasmo, criticando Machiavelli che imputava al cristianesimo un
infiacchimento degli animi e non poche colpe per la decadenza politica e
militare, Sepulveda diventa il teorico della guerra umanitaria, un
concetto che fu molto gradito al colonialismo europeo dell’epoca e dei
secoli successivi.
Ora Quodlibet propone la traduzione con il
testo latino a fronte, a cura di Vincenzo Lavenia, anche di questo primo
Democrate. Va ricordato che Erasmo nella Querela pacis e negli Adagia
aveva preso le distanze dal «Dio degli eserciti», quello caro all’Antico
Testamento, a taluni pontefici nonché a numerosi interpreti che
legittimavano l’uso delle armi, e scrisse parole chiare (riportate da
Lavenia nella sua introduzione): «Un dottore davvero cristiano non
approva mai la guerra; forse in qualche caso la permette, ma
controvoglia e con dolore». Machiavelli, al contrario, più suadente del
sommo umanista, attento nell’anteporre la forza alla giustizia, anzi
vedendo la seconda dipendere dalla prima, credeva la guerra una realtà
inevitabile (per Hegel sarà anche utile) e nei Discorsi attaccava senza
mezzi termini il cristianesimo trapponendovi gli ideali pagani: «La
religione antica... Non beatificava se non uomini pieni di mondana
gloria, come erano capitani e principi di repubbliche. La nostra
religione ha glorificato gli uomini più umili e contemplativi che gli
attivi». Parole scritte in un mondo in cui la Chiesa non scarseggiava di
guerrafondai, papi inclusi.
Sepulveda nel suo primo Democrate
entra in questo ideale dibattito e fa proferire ad Alfonso la risposta
al quesito se la professione delle armi contrasti con la dottrina
cristiana: «Anch’io in passato mi sono lasciato irretire da quella tesi;
non perché ritenga che ai cristiani la fede proibisca di fare guerra
(spesso mi pare che vi siano cause assai giuste, anzi necessarie, per
intraprenderla), ma perché accadono molte cose nella vita per le quali a
un uomo di valore è necessario perdere la buona fama (di cui deve avere
massima cura) oppure mettere da parte i precetti della religione».
Più
avanti Sepulveda affronta il problema discettando del «giusto per
natura»; riflette sul giudizio di chi deve stabilire cosa sia bene e
male. Giunge tra l’altro a ricordare che la guerra «secondo il diritto
di natura» è fatta anche dalle bestie. Affrontando il tema «Per quali
cause si debba muovere guerra» ricorda: «Non si dovrà affatto pensare
che sia contro la religione o turpe rivendicare i propri beni sottratti o
punire i malvagi. Né ci si dovrà vergognare di imitare Abramo, uomo
giusto e chiamato amico di Dio. Egli molti secoli prima che fossero
dettate le leggi degli ebrei, seguendo il diritto di natura mosse guerra
contro quattro re che esultavano per la vittoria e li mise in fuga...».
Il resto viene da sé. E tale dibattito torna ad avere una certa
attualità.
Juan Ginés de Sepulveda, Democrate, Quodlibet, Macerata pagg. 336, € 26,00