domenica 10 gennaio 2016

Il Sole Domenica 10.1.16
Internet semplifica la Babele delle lingue
Gli idiomi mondiali stanno diminuendo e sono 7.100. In Rete ce n’è solo una piccola parte, «decimata» dall’inglese
di Alessio Lana

Quante lingue parla la Rete? Tutte si dirà e invece sono molte di più. In quel crogiolo di culture che una volta chiamavamo villaggio globale sono riuniti non solo i linguaggi comunemente parlati nel mondo ma anche quelli artificiali come il sempreverde esperanto o l’ido oppure qualche esotismo moderno come il klingon. Eppure tanta varietà non sarebbe sinonimo di vitalità. Secondo diversi linguisti l’inglese starebbe uccidendo le concorrenti. Il 54,5% di tutto il web si affida proprio all’idioma di Albione per esprimersi e sono tanti gli internauti che mettono da parte la propria lingua madre a favore di quella più parlata nel mondo.
Stando agli ultimi dati, nel mondo oggi ci sono 7.102 idiomi, in calo verticale rispetto agli 8.000 del 2012. È chiaro che la morte di una lingua può dipendere da numerosi fattori, ma anche la Rete ha il suo peso. Per quanto globale infatti sono ancora pochi i siti aperti verso il mondo. Tra i principali, LinkedIn supporta solo 24 idiomi, Twitter 48, Google Translate 91. Facebook è a quota 120, ma solo negli ultimi tre anni ha aggiunto 50 idiomi come azero, giavanese, macedone e gallego. Volendo poi possiamo condividere i nostri pensieri nella lingua dei pirati con tutti i suoi Aahr!, il Capitan’s Log al posto del diario e i messaggi nella bottiglia, oppure in latino con tanto di “Quid cogitas?” che campeggia all’inizio di ogni post, le “Invitationes eventuum” e i “ligames”, i link.
Fa molto meglio Wikipedia che oggi riconosce ben 290 lingue. Tra queste troviamo praticamente tutte quelle parlate nella nostra nazione, dal napoletano al siciliano passando per friuliano, sardo, piemontese e occitano, mentre a livello mondiale spiccano il Ts?hésen?stsest?tse, la lingua dei Cheyenne che oggi conta intorno ai duemila locutori ma ha ben 578 articoli enciclopedici oppure la GWY dei Cherokee. Non mancano anche qui le lingue artificiali come il Volapük che nonostante i 200 locutori ha ben 121mila articoli dedicati oppure l’Interlingua, la figlia dell’International Auxiliary Language Association.
Alla fine però il centro pulsante delle lingue del mondo rimane Google. Il motore di ricerca è il capoclasse mondiale per idiomi supportati, ben 348, e non è nuovo a qualche esperimento curioso, perché, come si diceva, il web è anche la patria delle lingue artificiali. Il motore di ricerca ha pescato nell’immaginario collettivo pop per presentare le sue pagine nella lingua Bork, Bork, Bork! dello chef svedese dei Muppets, nell’Elmer Fudd di Taddeo, il buffo cacciatore dei Looney Tunes che pronuncia erre ed elle con la doppia vu ma anche in Leet, la lingua della Rete che sostituisce le lettere con caratteri Ascii graficamente simili o numeri (per cui “Sole” diventerebbe “$0|_&” o “5013”). Tra gli esperimenti più vitali e duraturi di questo villaggio che non sta mai in silenzio c’è però il Klingon. La lingua della specie extraterrestre di Star Trek inventata dal linguista Marc Okrand negli anni ’80 ha vissuto un accelerazione grazie alla Rete. Oggi ha un istituto che la diffonde e la protegge, che organizza corsi online e incontri tra locutori.
Tornando alla realtà, se da una parte si condanna la Rete sempre più anglocentrica, dall’altra non sono pochi i linguisti che vedono nei social una nuova speranza per far rifiorire lingue perdute o salvare quelle che stanno morendo. Facebook e soci dopotutto creano nuovi ponti tra le persone eliminando ogni confine geografico e spingendo anche chi è oggettivamente lontano dalla terra natia a trovare persone con cui parlarne la lingua. Un gruppo di volontari per esempio ha appena ultimato la traduzione di tutte le parole necessarie per l’interfaccia del social in Aymara, lingua nativa sudamericana parlata in Bolivia, Argentina, Perù e Cile. Un’opera enorme se si pensa che gran parte delle parole tecnologiche (password, account) non esistevano e hanno dovuto inventarle attenendosi però alla tradizione linguistica di riferimento.
Non mancano poi linguisti che usano proprio il social per far rinascere lingue perdute come Pamela Munro e la sua pagina dedicata ai Tongva, popolo nativo dell’area di Los Angeles. La professoressa non solo stimola la conversazione in lingua ma posta quotidianamente frasi e detti tradotti più file audio in cui li pronuncia. Questi sono solo alcuni dei tanti esperimenti che dimostrano come la tecnologia non significhi necessariamente la morte delle lingue. La predominanza dell’inglese è un fatto ma esprimersi è innato nell’uomo e ognuno in Rete è libero di farlo come crede. Anche in Klingon.