Il Sole 9.1.16
La sicurezza delle donne, l’altra emergenza
di Elisabetta Rasy
È
molto probabile che le donne aggredite a Colonia nella notte di
Capodanno facessero parte di quel molto diffuso gruppo di europei che si
battono, con militanza vera e propria o nel profondo della propria
coscienza, contro l’islamofobia. Donne molte delle quali non
accompagnate, sicure di essere libere, magari con altre amiche, di
godersi in allegria una serata di festa in mezzo alla gente: donne
dunque senza diffidenza, senza pregiudizi. Così come senza pregiudizi,
cittadini del mondo e della libertà, erano sicuramente la gran parte dei
morti di novembre a Parigi. Ma per aggredire le libere ragazze di
Colonia non servivano né kalashnikov né bombe, neppure i coltelli,
bastavano le armi tradizionali che nelle società tradizionali gli uomini
hanno usato contro le donne: le proprie peggiori pulsioni e il proprio
corpo violento. Questi due elementi, la pacifica e ben disposta libertà
delle vittime e la mancanza di armi tradizionali (il che vuol dire un
terrorismo della vita quotidiana che può essere organizzato solo con un
semplice passa-parola) hanno cambiato definitivamente volto, nel 2015,
alla questione dell’integrazione, degli immigrati, dei rifugiati e del
multiculturalismo.
Da oggi in poi, per forza
di cose, ogni ottimismo della volontà in materia non sarà più
possibile. Non si può più dire che sono i giovani della banlieue
sfavoriti rispetto ai loro coetanei che vanno ai concerti rock o al
ristorante. Non si può più parlare, salvo suscitare un imbarazzante
ridicolo, di colpe dell’Occidente, di tragici esiti di politiche
coloniali e postcoloniali errate, di guerre ingiuste. No. Qui in campo
c’erano della ragazze che non rappresentavano niente se non se stesse,
inermi e sorridenti nella notte di festa. E tanto è bastato.
Se
nel caso di bande terroristiche armate si discute di guerra
asimmetrica, qui non si può che riesumare la vecchia formula dello
scontro di civiltà. Purtroppo è così: sappiamo bene che la condizione
femminile è uno degli indici in base ai quali si valuta il grado di
democrazia e complessivo benessere di una società. Ma la condizione
femminile è anche questione di sguardi: se chi guarda una donna non vede
che una preda da attaccare – in vari modi, dai più ipocriti come i
matrimoni combinati ai più violenti come l’acidificazione o la morte –
siamo di fronte a una differenza basilare che nessuna buona volontà può
negare.
È ora impossibile ascoltare discorsi
di mediazione, quei discorsi degli arabi moderati che con sincerità
sostengono che il vero Islam è rispettoso delle donne. Sarebbe come
tirare in ballo la morale cristiana ogni volta che da noi c’è uno
stupro. Che cosa sostenga sulle donne il vero Islam conta poco se è
possibile a un gruppo di uomini persino ubriachi – e dunque non
necessariamente coordinati e organizzati – circondare, intimidire e
aggredire sessualmente donne che circolano pacificamente per strada. È
persino esagerato dire che quelle donne incarnavano un’idea estrema di
libertà femminile: erano semplici cittadine in una notte di festa, senza
niente di trasgressivo, senza niente di provocatorio.
Questo
pone per tutti un problema difficile, ma lo pone soprattutto per tutti
coloro che si battono per l’accoglienza e la tolleranza delle altre
culture, e si battono giustamente perché la tolleranza e l’accoglienza
fanno parte di quella stessa idea occidentale del diritto e della
libertà che consente a delle ragazze di andarsene in giro a festeggiare
la notte dell’anno. Suonano molto male in questi giorni le chiamate alla
xenofobia: non si può difendere la libertà e il diritto alla sicurezza
essendo xenofobi o razzisti. È una contraddizione palese e bisogna
sottolinearlo con forza.
Ma suonano anche
male le parole di chi sostiene che anche nella nostra società la
tentazione patriarcale è sempre attiva, che anche qui le donne sono
aggredite, stuprate e uccise. È vero, ma qui da decenni su decenni è in
corso una battaglia condotta dalle donne stesse in primo luogo e poi
dalle istituzioni perché questo non avvenga, e di fatto, per quanto
l’onda misogina non sia mai del tutto sconfitta, si tratta sempre
dell’eccezione non della regola. Nel caso di Colonia è evidente che per
la mentalità degli aggressori attaccare le donne – se non velate,
controllate, sottomesse – è la regola, non l’eccezione.
Tutti
dicono oggi che bisogna ripensare il wilkommen, la politica
dell’accoglienza. È la sfida non dell’anno che nasce ma di tutto il
secolo, cominciata l’11 settembre del 2001. Le cose da rifare, quelle da
revisionare o da cambiare sono tante e spetta agli organismi competenti
– governi sovranazionali nazionali e locali – impegnarsi a fondo, nella
convinzione che battersi per l’uguaglianza significa comprendere e
affrontare le diversità, anche e in primo luogo tra immigrato e
immigrato e tra rifugiato e rifugiato, tenendo ben distinto, come ci ha
insegnato il Vangelo, il grano dal loglio. Ma tra le tante emergenze che
ci assediano e le tante ipotesi di una nuova possibile accoglienza e
integrazione da vagliare, una cosa è certa fin da ora: la sicurezza
delle donne è sempre più all’ordine del giorno.