martedì 5 gennaio 2016

Il Sole 5.1.16
Uno scossone salutare per tutti
di Giuliano Noci


I crolli delle Borse cinesi - con ripercussioni molto significative anche sui mercati occidentali – ci riportano, già ad inizio anno, nel vivo del solito tormentone circa il futuro della Cina. La mia posizione è piuttosto netta e lontana dagli umori della finanza mondiale.
Non voglio sfogliare la margherita, ma ritengo che i fatti di ieri rappresentino paradossalmente un’opportunità per la Cina e l’Italia. Perché? Partiamo dalla Cina.
Se è vero che l’indice Caixin Pmi (Purchasing managers index) del settore manifatturiero cinese ha registrato un valore al di sotto delle aspettative (48,2 contro 48,6 di novembre), calando per il decimo mese consecutivo, occorre osservare che gli indici dell’economia non industriale hanno invece un andamento opposto: le aspettative per il settore dei servizi si sono attestate a dicembre al 54,4 (contro il 53,6 di novembre). Insomma il terziario sta prendendo piede nell’economia cinese e questo era esattamente quanto auspicato da tutti gli osservatori internazionali. Anche il calo – per il quinto mese consecutivo – della produzione industriale può essere paradossalmente salutare. Un trend così evidente potrebbe infatti favorire un’accelerazione delle riforme del sistema industriale più volte evocate da Xi, ma non ancora attuate per via dei veti interni al Partito comunista.
La Cina ha infatti estremo bisogno di aumentare la produttività dell’industria per via della crescita del costo del lavoro e, allo stesso modo, deve introdurre tecnologie agricole nelle campagne per garantire un tenore di vita ragionevole a coloro che sono impegnati nell’industria primaria (ed evitare un processo di urbanizzazione fuori controllo). Potrebbe essere pertanto la volta buona: gli scossoni di questi giorni potrebbero dare nuova linfa al cambiamento e rendere sempre meno credibili le spinte conservatrici all’interno del Politburo, ne va del futuro del Partito.
Occorre stemperare anche lo sterile dibattito sulla cifra della crescita ricorrendo ad un’evidenza matematica: l’eventuale crescita 2015 del 6,5% del Pil – così preoccupante per tanti osservatori - rappresenterebbe, in valore assoluto, un incremento di valore per l’economia simile a quello del 7,3% nel 2014. Bastano queste poche note per scongiurare i presupposti di un vero allarmismo.
Tutto a posto, quindi? Tutt’altro: dobbiamo convincere coloro che vedono nubi per l’export italiano dal rallentamento della crescita cinese. Anche qui non sono d’accordo. Partirei da un’evidenza: nel 2014 il valore del venduto dei prodotti italiani in Cina ha inciso solo per il 2,6% delle nostre esportazioni, un terzo circa dell’export verso gli Usa e un valore simile all’export in Turchia e pari alla metà dell’export in Medio Oriente – valore, questo, decisamente più preoccupante degli scossoni cinesi alla luce della crisi araba. Pensare dunque che il rallentamento cinese impatti in misura significativa sulla nostra economia è contro la realtà. Prepara semmai opportunità sia sul fronte delle nostre esportazioni che delle importazioni dalla Cina.
Quanto all’export: è giunto il momento di spingere finalmente sull’acceleratore. Tre considerazioni su tutte: l’automazione industriale italiana può rappresentare una risposta importante alla necessità cinese di aumentare la produttività totale dei fattori – siamo in fondo il secondo Paese manifatturiero in Europa e non possiamo lasciarci sfuggire questa occasione. Allo stesso modo, la nostra eccellenza nell’ambito delle tecnologie agricole si coniuga perfettamente con i bisogni di una Cina che deve sostenere le proprie campagne: è talmente vero questo che nell’ultimo biennio numerose imprese italiane del comparto sono entrate in mani cinesi.
Il possibile calo delle vendite di beni strumentali e intermedi (conseguente al rallentamento industriale) potrebbe essere più che bilanciato dalla crescita – se saremo bravi e proattivi – dei beni di consumo italiani; la progressiva crescita dei settori non manifatturieri si porta, infatti, dietro stipendi e redditi mediamente più elevati e quindi una capacità di spesa che potrebbe essere indirizzata verso i nostri prodotti contro la minor qualità di altri Paesi.
Anche sul fronte delle importazioni possiamo essere ottimisti. L’Italia sconta una bilancia commerciale in straordinario deficit rispetto alla Cina: importiamo molto più di quel poco che abbiamo esportato fino ad oggi. Nel breve, quindi, l’Italia può beneficiare del grande rafforzamento dell’euro rispetto al renminbi (si è da poco superata la soglia di 7 renminbi per un euro).
Insomma, dobbiamo essere razionali, di crisi cinese non si può ancora parlare: molto dipenderà dalla capacità di visione di Xi. Comunque sia, le nostre imprese devono attaccare. Fino a oggi abbiamo esportato molto poco in Cina: abbiamo enormi spazi di crescita e la direzione di cambiamento che la Cina potrebbe imboccare va tutta a nostro vantaggio. Andiamo dunque in contro-tendenza emotiva; almeno in questo la finanza ci può insegnare qualcosa. Le nostre imprese e i nostri imprenditori devono crederci: del resto hanno comunque un grande bisogno di riequilibrare il mix delle esportazioni, non possiamo sempre e solo contare sui soliti noti.