Il Sole 5.1.16
C’è il rischio di un’escalation militare
di Gianandrea Gaiani
I rischi di escalation militare della crisi tra Iran e Arabia Saudita sono resi più concreti dai numerosi fronti in cui le due potenze regionali sono chiamate a misurarsi. Da un lato i toni accesi potrebbero tornare utili ai regimi di Teheran e Riad per reprimere le opposizioni interne, cementare la coesione nazionale contro il nemico esterno e giustificare una rinnovata corsa al riarmo strategico specie nel settore nucleare e dei missili balistici. Dall'altro però i teatri bellici yemenita e iracheno-siriano offrono a entrambi l’occasione per inasprire il confronto.
In Yemen la coalizione guidata da Riad e composta da truppe e velivoli forniti dalle monarchie del Golfo non è riuscita ad avere la meglio sui ribelli Houthi, sciti sostenuti dall’Iran, nonostante la potenza di fuoco e le armi modernissime messe in campo. Una recrudescenza dell'offensiva potrebbe far saltare ogni ipotesi di soluzione negoziata della crisi, scenario che potrebbe replicarsi in Siria se Riad decidesse di mettere in campo la neocostituita coalizione nata per combattere i “terroristi” ma ostile alle forze di Bashar Assad affiancate da pasdaran iraniani ed Hezbollah.
Un confronto militare saudita-iraniano nel Golfo Persico potrebbe avere pesanti ripercussioni sul mercato petrolifero. Se le acque e i cieli del Golfo si trasformassero in un campo di battaglia la chiusura dello stretto di Hormuz sarebbe inevitabile bloccando l’intenso traffico di petroliere e paralizzando i rifornimenti energetici di mezzo mondo oltre a gran parte dell’export di molti Stati della regione. Sul piano strettamente militare sauditi e iraniani non sono nelle condizioni migliori per una guerra totale. Riad ha truppe e mezzi schierati nello Yemen dove le sue forze aeree hanno esaurito bombe e missili al punto di doverne acquistare d'urgenza in Occidente. Inoltre un conflitto aperto con l’Iran metterebbe in serie difficoltà la Coalizione anti-Isis attiva in Siria di cui fanno parte anche velivoli sauditi e degli emirati del Golfo.
Quanto all’Iran, il sostegno a Damasco comporta costi sempre più impegnativi mentre il lungo embargo internazionale ha ritardato i programmi di ammodernamento dello strumento militare soprattutto nel settore degli aerei avanzati, dei mezzi terrestri e navali e dell'elettronica: un gap che Teheran ha già cominciato a colmare rivolgendosi all'industria russa. Entrambe le potenze regionali avrebbero quindi molte buone ragioni per evitare o quanto meno ritardare uno scontro militare di ampie dimensioni ma si tratta di valutazioni che vanno commisurate con un contesto ad alta tensione in cui la spregiudicata forza navale dei pasdaran non ha esitato nei giorni scorsi a lanciare razzi a meno di due chilometri dalla portaerei statunitense Truman.
Provocazioni nei confronti delle navi militari saudite, del Bahrein o degli Emirati arabi uniti (che contendono all'Iran il controllo di alcune isolette all'imbocco di Hormuz) potrebbero generare la scintilla che incendierebbe il Golfo Persico, sulle cui sponde sono schierati centinaia di miliardi di dollari di armamenti. Sauditi e alleati arabi dispongono della migliore tecnologia occidentale nei settori terrestre, aereo e navale, inclusi sistemi di difesa antimissile che potrebbero fermare almeno una parte delle centinaia di missili balistici con cui l'Iran potrebbe bersagliare città, basi militari e infrastrutture petrolifere e degli altrettanto numerosi missili antinave in grado di bloccare la navigazione in acque ristrette come quelle del Golfo.