sabato 30 gennaio 2016

Il  Sole 30.1.16
Business futuri. Fra il 2000 e il 2014 il commercio fra le due aree è cresciuto di 22 volte
Pechino scommette sull’Africa
di Adriana Castagnoli

L’Africa sta balzando prepotentemente alla ribalta come continente dirimente e strategico per gli equilibri geopolitici mondiali. L’Africa subsahariana conta la più rapida crescita di popolazione rispetto a ogni altra regione al mondo (+ 27 milioni all’anno) e incrementa una forza lavoro che altrove si riduce. Sebbene negli slums il grado di povertà sia elevato, la classe consumatrice urbana sta crescendo per effetto di migliori infrastrutture e di un aumento dei livelli di reddito disponibile, trasformando così il continente in una priorità per le maggiori “global companies” nei prossimi anni. È pur vero che una combinazione di fattori esterni (calo dei prezzi delle commodities, rallentamento delle economie dei maggiori partner commerciali e peggiori condizioni per i prestiti internazionali) e di fattori interni (instabilità politica, conflitti e mancanza di elettricità) ha rallentato la crescita dell’Africa sub-sahariana da 4,6% nel 2014 a 3,4% nel 2015. A ciò si aggiungono le incognite derivabili dalle azioni terroristiche di Boko Haram, nonché da ulteriori rischi esterni.
Più di un milione di cinesi si è stabilito in Africa negli ultimi due decenni non solamente per effetto delle politiche del governo di Pechino, ma anche di scelte di vita individuali che contribuiscono a dare più incidenza all’approccio quasi imperiale della Cina e a promuoverne l’influenza e il potere globale nella regione. Gli investimenti esteri diretti (Fdi) cinesi sono cresciuti rapidamente negli ultimi anni e sono divenuti importanti in Tunisia, Sud Africa, Kenya, Nigeria, Egitto, Algeria, Libia, Angola. Anche se gli Usa e i paesi dell’area euro rimangono ancora la più consistente fonte di Fdi in particolare nella regione sub-sahariana. Gli interessi cinesi in Africa sono immensi. Il commercio fra Cina e Africa è cresciuto di 22 volte dal 2000 al 2014 (da 10 a 220 miliardi di dollari), assai più del commercio con la Ue o con gli Usa (nel 2014, rispettivamente di 177 miliardi di euro e 73 miliardi di dollari). La Cina ha superato, nel 2009, gli Usa come il più importante partner commerciale dell’Africa. Invece Washington ha ridotto l’interscambio con l’Africa in particolare contraendo le importazioni (da 114 miliardi di dollari nel 2008 a 24 nel 2015). La Cina cerca di rafforzare la sua influenza in luoghi considerati strategici. Ha accordi economici, politici e militari con diversi stati africani - inclusi quelli del Nord Africa - ricchi di risorse energetiche come Algeria, Nigeria, Guinea, Repubblica del Congo, Sudan ed Etiopia; e ha concluso un accordo militare con la Repubblica di Gibuti, nel Corno d’Africa, dove ha anche una partecipazione per il controllo e lo sviluppo del porto. Il piano per 60 miliardi di dollari in aiuti, prestiti, investimenti e altri supporti finanziari all’Africa, annunciato del presidente Xi Jinping lo scorso dicembre, costituisce una dimensione nuova e rilevante dell’intervento di Pechino. La Cina provvede già prestiti a basso tasso d’interesse ai paesi con un cattivo rating nel credito in cambio di petrolio e diritti minerari. Tuttavia, i tempi cambiano e anche le relazioni sino-africane devono affrontare nuove sfide e difficoltà. Sotto la pressione delle criticità delle commodities e della ristrutturazione dell’economia cinese dal manifatturiero ai servizi, nell’ultimo anno gli investimenti cinesi in Africa sono crollati del 40%. Questo mutamento riguarda sia paesi a economia diversificata, come il Sud Africa, sia quelli dipendenti dall’export di un singolo prodotto, come Zambia o Angola. La Cina si è trovata anche intrappolata e con investimenti a rischio nelle diverse zone di conflitto del continente.
Anche l’Ue, dopo l’accordo commerciale del 1975, ha mostrato una nuova visione a dimensione continentale delle relazioni con l’Africa con la Joint Africa-EU strategic partnership, avviata nel 2007. I principali paesi europei, secondo l’Ocse, sono anche fra i primi dieci contributori nei programmi di assistenza all’Africa.
Per parte loro gli americani cercano di controbilanciare la crescente influenza cinese in Africa orientale sponsorizzando iniziative diverse come il Summit sull’imprenditoria e “Power Africa” , un programma di elettrificazione rurale e urbana. “Power Africa” venne lanciato nel 2013 dal presidente Obama per raddoppiare l’accesso all’elettricità in cinque anni, ma sinora ha fatto pochi progressi. È pur vero che gli americani sono presenti anche con i big player della filantropia come la Bill & Melinda Gates Foundation che, a sua volta, ha sovvenzionato con 3 miliardi di dollari il settore agricolo. Al tempo in cui la Cina ha sorpassato gli Stati Uniti come partner commerciale, Obama ha esortato gli africani a diffidare degli appetiti di Pechino e ad abbracciare più intense relazioni con gli Usa per migliorare crescita economica, democrazia, salute, educazione ed elettrificazione. Com’è avvenuto durante la sua ultima visita in Kenya, lo scorso luglio, quando ha attinto dai valori dell’universalismo americano le ragioni favorevoli a Washington: perché l’America costituisce pur sempre un’alternativa all’aggressiva, anche se concreta, politica di Pechino e sa offrire ancora una visione migliore e capace di dare una prospettiva di benessere e d’indipendenza per il futuro dell’Africa.