Il Sole 30.1.16
Perché la Cina non è ancora una vera economia di mercato
La concessione dello «status» renderebbe inefficaci le misure antidumping
di Manfred Weber
Nonostante
la discussione sull’immigrazione, l’Europa ha anche un’altra priorità:
creare posti di lavoro. Abbiamo bisogno di accordi commerciali, e in un
mondo globalizzato vogliamo creare partnership di successo. Un accordo
commerciale è sempre una chiave strategica per avere una maggiore
crescita economica, e più posti di lavoro, ed offre benefici reciproci
senza costi aggiuntivi. È questa la strategia che vogliamo utilizzare
per l’Europa. In assenza di un accordo globale per il libero commercio,
il Gruppo Ppe ha spinto per concludere accordi bilaterali con i
principali partner commerciali dell’Europa: il Ttip con gli Stati Uniti,
e altri accordi con la Corea del Sud e il Giappone. Con il Canada
(Ceta) abbiamo concluso i negoziati e vogliamo proseguire verso
l’attuazione il più velocemente possibile. Ceta è un accordo commerciale
che favorisce soprattutto le Pmi che rappresentano il 99% di tutte le
attività in Europa e negli ultimi cinque anni hanno creato circa l’85%
dei nuovi posti di lavoro. Ogni giorno che passa senza attuazione degli
accordi, perdiamo l’opportunità di creare nuovi posti di lavoro.
L’Ue
e la Cina sono due dei maggiori operatori commerciali del mondo. La
Cina è il secondo partner commerciale dell’Ue, dopo gli Stati Uniti, e
l’Unione europea è il principale partner commerciale della Cina. Tra la
Cina e l’Europa attualmente si registra un commercio di ben oltre 1
miliardo di euro al giorno. La Cina ha fatto buoni progressi
nell’attuazione dei suoi impegni in seno alla Wto, sin dalla sua
adesione nel 2001; ma ci sono ancora problemi in sospeso: mancanza di
trasparenza, esistenza di misure in Cina che discriminano le imprese
straniere, forte intervento del governo nell’economia, protezione ed
applicazione inadeguata della proprietà dei diritti intellettuali,
restrizioni alle esportazioni cinesi di materie prime - come terre rare.
I cinesi hanno mostrato come funziona il protezionismo: infatti una
azienda che non produce in Cina, deve confrontarsi con elevate tariffe
penalizzanti se vuole vendere i suoi prodotti sul mercato cinese. In
alternativa se una azienda vuole produrre in Cina, lo può fare solo
diventando partner più piccolo di un azionista di maggioranza cinese.
L’Ue
ritiene che tutto ciò stia violando le regole generali della Wto. Il
Gruppo Ppe ha sostenuto l’adozione di adeguate misure di difesa
commerciale, per contrastare le imprese non europee, che grazie a
sovvenzioni statali illegali o tariffe di dumping hanno cercato di
vendere i loro prodotti in Europa.
La Commissione europea ha in
corso 28 inchieste antidumping, 16 delle quali coinvolgono la Cina. Il
maggior numero di casi di difesa commerciale dell’Unione europea e le
relative misure, riguardano ferro e acciaio , e sempre più, le industrie
energetiche (pannelli solari, biocarburanti).
La domanda cruciale
è: possiamo concedere lo Status di Economia di Mercato (Mes) alla Cina
15 anni dopo la data di adesione alla Wto come è previsto
dall’Organizzazione? Per l’Ue la Cina non è una cosiddetta Economia di
Mercato. Se concediamo alla Cina questo status, le misure antidumping
che salvaguardano centinaia di migliaia di posti di lavoro di una vasta
gamma di industrie europee strategiche, diventerebbero inefficaci di
fronte alla concorrenza sleale della Cina.
I produttori europei
sono preoccupati che, in questa eventualità, le importazioni cinesi
aumentino dal 25% al 50% considerando il trend previsto nei prossimi 3-5
anni, mettendo a rischio nell’Ue fino a 3,5 milioni di posti di lavoro.
Nel caso in cui concedessimo lo Status di Economia di Mercato alla
Cina, significherebbe darle la possibilità di ridurre il margine di
dumping del 30%, consentendole di ridurre ulteriormente i prezzi. La
Cina, infatti, non è un’economia di mercato. Quando guardiamo l’economia
cinese, vediamo ancora le ombre di una economia pianificata. I leader
cinesi che si sono succeduti hanno seguito il modello di una “economia
socialista di mercato”, in cui il governo controlla le imprese statali
che dominano settori come l’acciaio, la produzione di energia e il
minerario - ognuno dei quali gode di un sostegno importante da parte
dello Stato. Penso che ci dovremmo impegnare in un ampio e franco
dibattito con i cinesi (abbiamo anche bisogno di uno studio completo di
valutazione di impatto),e l'Unione europea dovrebbe mantenere i suoi
strumenti di difesa commerciale efficaci che prendono in considerazione
la reale situazione del mercato in Cina.