Il Sole 30.1.16
Le due versioni dell’interesse nazionale
di Lina Palmerini
Berlino
e Milano ieri non erano solo le due facce dell’Europa ma dell’Italia.
Renzi con la Merkel, Salvini con Marine Le Pen hanno offerto
all’opinione pubblica italiana due risposte politiche alternative. Con
una differenza rispetto al passato. Ora è Renzi che prova a sventolare
la bandiera dell’interesse nazionale che prima era un’esclusiva della
destra euro-scettica. E lo fa con una dose di rischio alta.
La
vera mossa a sorpresa del premier italiano è proprio quella di aver
impugnato una bandiera “nazionalista” che finora non faceva parte del
linguaggio di centro-sinistra. Non in maniera così schietta e perfino
ruvida. Nella conferenza stampa con la Merkel, Renzi non ha ceduto sul
punto né della Turchia né della flessibilità e si è fatto portatore di
un chiaro e visibile interesse italiano sia con Berlino che con
Bruxelles. È chiaro che è un azzardo politico perché la sconfitta nel
negoziato peserà sulla scena europea e soprattutto su quella italiana ma
è una mossa che ha spiazzato gli avversari e in primo luogo il fronte
euroscettico che ieri si è ritrovato a Milano con Salvini e Marine Le
Pen. Quella bandiera infatti era un’esclusiva della Lega e anche di
alcune aree del partito di Berlusconi.
Naturalmente la versione
renziana dell’interesse nazionale è stata declinata in modo diverso, con
la difesa di Schengen e dell’idea di accoglienza dei profughi, ma ieri
il premier ha voluto dimostrare che difende ciò che oggi preme
all’Italia senza cedere alle richieste alla Merkel. E a Salvini non
resta che scommettere sull’esito negativo della trattativa e liquidare
gli aiuti alla Turchia – su cui Berlino insiste – come “aiuti ai
terroristi”. Insomma, è chiaro che se l’offensiva di Renzi porterà a
casa qualche risultato, il bacino elettorale del segretario leghista si
sgonfierà e tornerà a essere quello che era prima dell’emergenza
profughi.
Un vantaggio per Salvini però c’è. Ed è forte. Perché la
rappresentazione di ieri – tra Milano e Berlino - mostrava la vera
forza del fronte euro-scettico: la compattezza. A Milano erano uniti, a
Berlino invece sono andate in scena due visioni diverse dell’Europa, su
alcuni punti molto confliggenti, come quello della flessibilità e delle
ricette economiche. È questo il vero punto debole che sconterà anche il
premier nel suo negoziato ingaggiato con la Commissione Ue e con
Berlino: che il fronte europeista è fatto di troppe voci e che la
mancanza di alleati di Renzi riflette le spaccature all’interno di
questo fronte.
Spaccature che ci sono anche in Italia. Quali sono i
suoi alleati interni? Sulla carta c’è la maggioranza e naturalmente il
suo partito ma finora non si è sentita una sola voce autorevole del Pd
non-renziano che abbia difeso a spada tratta la sua presa di posizione. E
dunque è chiaro che se il negoziato dovesse prendere una piega
negativa, il premier ne dovrà pagare il conto anche all’interno del suo
partito. Il fatto è che Renzi non ha ancora messo bene a fuoco dentro il
Pd come e su quali punti è cambiata la linea sull’Europa. Da un
tradizionale posizionamento europeista senza se e senza ma si è passati a
una critica esplicita. Finora, a sinistra, era successo solo con
un'area che si è coagulata all'esterno del Pd, in quella lista
pro-Tsipras che ha difeso le battaglie del premier greco almeno fino a
un certo momento. Per il resto non è chiaro fino a che punto tutto il
Pd, inclusa la minoranza interna, sia disposto a seguire il premier.
Insomma,
un negoziato così ad alto rischio, non tanto per la leadership di Renzi
ma per le conseguenze sul Paese, avrebbe bisogno di un maggiore
coinvolgimento e copertura politica. Almeno da parte di tutto il partito
di cui Renzi è anche segretario. Una riflessione aperta su quali
richieste l’Italia debba negoziare per il proprio interesse nazionale:
dall’unione bancaria alla flessibilità fino alla questione dei migranti.
Ma senza un’investitura politica interna forte, la trattativa diventa
solo un azzardo e non una posizione politica.