sabato 30 gennaio 2016

Il Sole 30.1.16
La scuola si «arrocca»: troppo inglese nel concorso
di Eugenio Bruno

Roma Nell’era di Spotify e della musica on demand su qualsiasi supporto digitale la scuola italiana sembra ferma al 78 giri. Il sentore c’era già stato ai tempi della discussione (parlamentare e non) sulla “buona scuola”, quando anziché soffermarsi su come migliorare le conoscenze degli studenti italiani, il dibattito aveva preferito virare sui troppi poteri affidati al “preside-sceriffo”. Una nuova conferma è giunta nei giorni scorsi dal parere del Consiglio superiore della pubblica istruzione (Cspi) sui provvedimenti collegati al futuro “concorsone” da 63mila posti. Specialmente nel passaggio in cui giudica troppo ampio lo spazio attribuito alle lingue straniere nella valutazione dei futuri prof: due domande su otto della prova scritta. Meglio una, è la controproposta dell’organo consultivo del Miur.
Facciamo un passo indietro. La riforma Renzi-Giannini prevedeva che entro il 1° dicembre scorso arrivasse il bando per la nuova maxi-selezione nella scuola. O meglio i bandi, visto che ne servono tre: uno per primaria e infanzia, un altro per le medie e le superiori, un terzo per il sostegno. Ma a oggi non sono ancora stati emanati e, a quanto pare, non arriveranno prima della seconda settimana di febbraio. Anche perché il regolamento sulle classi di concorso 2.0 (che di quegli atti è propedeutico) non è ancora stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Per accorciare i tempi nelle scorse settimane il dicastero di viale Trastevere ha inviato ai 36 membri del Cspi - che rappresentano le varie anime della comunità scolastica - i cinque decreti e l’ordinanza sulle prove, i titoli, le commissioni, gli ambiti disciplinari e tutti gli altri aspetti “burocratici” del concorsone. Affinché emettessero il parere (non vincolante) previsto dalla legge 107.
Il documento è arrivato mercoledì scorso. Sono 11 pagine fitte di rilievi. Alcuni esclusivamente tecnici (ad esempio dove si legge che «manca qualsiasi riferimento all’ampia normativa relativa alle alunne e agli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento» oppure dove si chiede se «parte delle prove concorsuali possano essere comprese in due ambiti differenti ma affini»), altri economici (quando si definiscono «esigui» i 209 euro lordi previsti per i futuri commissari), altri ancora più politici. Come la doppia premessa sull’esigenza di risolvere definitivamente il nodo del precariato e sul rischio di contenzioso insita nella scelta di riservare il concorso ai soli abilitati.
Arriviamo così alle lingue. Il Dm sulle prove, nel ricordare che non ci sarà alcun “quizzone” preselettivo, introduce una prova scritta con otto quesiti a risposta aperta stabilendo che due di questi dovranno essere in una lingua diversa dall’italiano (che all’infanzia e alle primarie sarà necessariamente l’inglese). L’obiettivo è verificare che tutti i futuri insegnanti abbiano un livello di conoscenza medio (B2) dell’idioma prescelto. Sul punto il Cspi chiede di «ridurre la verifica di tale competenza rispetto alla valutazione complessiva, di tipo culturale, metodologica e didattica». In pratica di portare da «2 a 1 i quesiti nella prova scritta in lingua straniera».
Una posizione di chiusura che sembra non tenere conto né della direzione “aperta” verso cui il mondo tende ormai da decenni, né del rapporto quanto meno conflittuale che esiste tra la scuola italiana e le lingue straniere. E che è testimoniato da almeno un paio di numeri: l’indice 2015 di Ef Epi ci colloca al 28esimo posto nel mondo (e al 22esimo in Europa) per la conoscenza dell’inglese; secondo una ricerca della Fondazione Intercultura il 57% dei docenti in servizio valuta basso o medio-basso il suo “spoken english” e solo il 18% ha investito in esperienze all’estero. A cui forse è il caso di aggiungerne anche un terzo, visto che stiamo parlando del futuro dei nostri ragazzi: l’82% degli studenti interrogati dall’Indire ha indicato proprio nelle lingue il fabbisogno formativo da rafforzare. Tutti dati che si spera vengano tenuti a mente dal ministero quando deciderà quanti e quali rilievi emessi dal Cspi accogliere.