il manifesto 30.1.15
Gerusalemme Est, soldi a scuole che rinunciano al programma palestinese
Israele/Territori
occupati. Li offre il ministero dell'istruzione israeliano, ha rivelato
il quotidiano Haaretz. Diana Buttu: «Israele vorrebbe trasformare i
palestinesi in sionisti, convincerli ad abbracciare la narrazione
israeliana di quanto è accaduto in questa terra». Sullo sfondo il
sistema scolastico palestinese in condizioni critiche
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Nessuno può accusare di scarso impegno il ministro israeliano
dell’istruzione Naftali Bennett. Un impegno che però sembra indirizzarsi
più verso obiettivi politici che a favore dell’apprendimento degli
studenti. Alla fine del 2015 Bennett aveva vietato gli interventi nelle
scuole ai rappresentanti di “Breaking the Silence”, l’Ong dei soldati
israeliani che rompono il silenzio su crimini commessi nei Territori
occupati. A inizio del nuovo anno ha proibito l’uso nelle scuole
superiori del romanzo di Dorit Rabinyan “Borderlife” che racconta la
storia d’amore tra una ebrea e un palestinese. Ora, riferiva ieri in
prima pagina il quotidiano Haaretz, il ministero dell’istruzione prepara
un piano che prevede fondi extra solo per le scuole arabe di
Gerusalemme Est che adotteranno il programma israeliano al posto di
quello palestinese.
Quando nel 1995 furono firmati gli Accordi di
Oslo II, ai palestinesi di Gerusalemme Est, che non sono (tranne una
esigua minoranza) cittadini israeliani, fu riconosciuto il diritto di
adottare il programma del ministero dell’istruzione della neonata
Autorità nazionale palestinese al posto di quello della Giordania. Delle
180 scuole palestinesi soltanto otto hanno scelto, in questi ultimi
venti anni, il programma israeliano e solo due di queste sono istituti
pubblici. Un dato che conferma il rifiuto del controllo israeliano della
zona araba di Gerusalemme, anche in materia di istruzione, da parte
degli oltre 300mila palestinesi nella Città Santa. «Israele vorrebbe
trasformare i palestinesi in sionisti, convincerli ad abbracciare la
narrazione israeliana di quanto è accaduto in questa terra» spiega al
manifesto Diana Buttu, una esperta di diritto internazionale «i
palestinesi però intendono rimanere quello che sono e continuare a far
parte del mondo arabo». Per questa ragione, aggiunge Buttu, «anche
questo tentativo è destinato a non avere successo». Allo stesso tempo la
condizione delle scuole arabe a Gerusalemme Est è grave: il numero
degli studenti aumenta con il passare degli anni e non ci sono aule
sufficienti. Molte scuole pubbliche operano in edifici spesso fatiscenti
che necessitano urgenti lavori di ristrutturazione, scarseggiano
attrezzature, computer e materiali didattici. Qualche dirigente
scolastico perciò potrebbe essere tentato ad adottare il programma
israeliano in cambio dei fondi offerti dal ministero. «A mio avviso è un
ricatto, soldi in cambio di una rinuncia» afferma Diana Buttu «i
palestinesi sotto occupazione hanno diritto ai quei fondi senza dover
rinunciare alla loro identità, alla loro cultura, al loro programma
scolastico in linea con il resto del mondo arabo. Lo dice il diritto
internazionale che Israele è chiamato a rispettare. Per questo mi auguro
che questo passo del ministero dell’istruzione israeliano venga subito
condannato dalle istituzioni internazionali». Lo sdegno è forte tra i
palestinesi di Gerusalemme. Le scuole arabe, affermano, non accetteranno
l’offerta del ministero israeliano. Anche perchè i genitori non lo
permetterebbero, di fronte a libri di testo e a un programma scolastico
che tendono a negare quasi del tutto storia e cultura palestinese.
Nel
corso degli anni i governi israeliani si sono spesso lamentati del
contenuto dei libri usati nelle scuole palestinesi che non
riconoscebbero pienamente lo Stato ebraico e «istigherebbero alla
violenza». A loro volta i testi inclusi nel programma israeliano offrono
una narrazione totalmente anti-araba, che nega radici e storia dei
palestinesi nella loro terra. Lo spiega bene la docente israeliana Nurit
Peled Elhanann nel suo libro “La Palestina nei testi scolastici di
Israele. Ideologia e propaganda nell’istruzione” (2012, edito in Italia
dal Gruppo Abele). Gli arabi, scrive Peled Elhanann, sono rappresentati
come profughi in strade e luoghi senza nome. «Nessuno dei libri», spiega
la docente, «contiene fotografie di esseri umani palestinesi e tutti li
rappresentano in icone razziste o immagini classificatorie avvilenti
come terroristi, rifugiati o contadini primitivi». Raramente si parla di
“Palestina” o “Palestinesi” piuttosto si fa riferimento a “non ebrei”,
“arabi”, o al “problema palestinese” descritto il più delle volte come
un problema demografico.
Secondo il ministero dell’istruzione
israeliano i palestinesi da un lato protestano e dall’altro, in numero
crescente, intenderebbero seguire il programma scolastico israeliano.
Riferisce che l’anno scorso 1400 studenti arabi hanno scelto il “Te’udat
Bagrut”, ossia il diploma di maturità israeliano e non quello
palestinese (Tawjihi). Quest’anno se ne prevedono 2.200. Ma sono
soltanto il 5% dell’intera popolazione scolastica palestinese.