il manifesto 30.1.16
Muro erotico
Verità nascoste
di Sarantis Thanopulos
Il
presidente della Repubblica ha detto che i settanta anni di pace e di
sviluppo in Europa sono fondati anche «nel sangue e nella terra fredda,
mista a cenere» dei campi di concentramento tedeschi. L’affermazione del
presidente è involontariamente ironica: a minare oggi la credibilità
dell’Europa e dell’Occidente, è proprio la soluzione data alla
catastrofe etica di cui sono stati espressione i campi di annientamento
degli ebrei.
Addossando l’intera responsabilità all’eccezionalità
del mostro nazista, come se questo mostro fosse nato dal nulla, senza il
fallimento di tutti, ci siamo affidati, di fatto, alla logica della
colpa di un popolo, quello tedesco.
Espiata la colpa (nel tempo
necessario di una lunga sofferenza), siamo al punto di partenza.
L’occidente non ha voluto vedere nello sterminio il risultato di una sua
grave difficoltà a costruire un senso d’identità eccentrico al suo
centro di gravità, aperto senza possibilità di ritorno alle
trasformazioni. È un’impasse storica delle civiltà il misconoscimento
della loro co-costituzione con il barbaro, lo straniero.
L’ebraismo
è stato storicamente una componente fondante della civiltà occidentale
(insieme alla cultura greco-romana, il cristianesimo e l’illuminismo
ateo), ma anche la parte che più l’ha estroversa, l’ha spinta verso il
decentramento, l’esilio da se stessa. Ha posto un problema –la capacità
di desiderare il diverso nel punto in cui più destabilizza la nostra
autoreferenzialità – che l’occidente, nel momento più decisivo della sua
storia, ha rimosso. Nelle rimozioni trovare una meta appropriata al
desiderio è l’ultima delle preoccupazioni. Piuttosto che estrovertirci,
riaprendosi all’alterità, abbiamo usato la parte estrovertente di noi
per occupare la terra di altri.
Gli ebrei riaccolti nella nostra
civiltà sono stati usati come nostra enclave nel mondo musulmano.
Mandarli via dalla loro casa (l’Europa), perché tornassero a casa loro,
che loro non era (Palestina), è stata la forma paradossale con cui si è
estrinsecato il nostro rifiuto di lasciarci attrarre, prendere da un
altro luogo/modo di essere e la scelta di trattare la casa altrui come
estensione della nostra.
Recentemente, il libro premiato di una
scrittrice israeliana, che racconta l’amore tra un’ebrea e un
palestinese, è stato escluso dalla lista dei libri adottati dai licei.
Secondo il ministero d’istruzione israeliano le relazioni intime tra
ebrei e non ebrei potrebbero rappresentare una «minaccia alle identità
separate»: «Gli adolescenti tendono a romanticheggiare e non includono
nel loro punto di vista considerazioni sulla preservazione dell’identità
nazionale e sul significato dell’assimilazione».
Nella censura
dell’incontro erotico tra ebrei e palestinesi, ciò che preoccupa le
autorità israeliane –per loro stessa ammissione — non è tanto una
relazione sessuale di per sé, quanto la sua trasformazione in
matrimonio, in una compenetrazione stabile che porti a una mescolanza
profonda di identità che devono restare separate. Questa censura getta
luce sulla vera linea di demarcazione tra il mondo occidentale e il
mondo islamico.
Il muro materiale che separa Israele dai territori
arabi è la rappresentazione simbolica di una divisione erotica che
congela la nostra esistenza.
Lo scambio tra culture diverse e la
loro integrazione in uno spazio più ampio, che le trascende, è
impossibile senza il desiderio erotico che fa attraversare i confini:
l’interdizione dei matrimoni misti è l’indicatore più sicuro della loro
incapacità di comunicare.
Chi porta nelle vene tracce di «sangue impuro» (simbolo di amori proibiti) non dorma tranquillo.