Il Sole 29.1.16
Una Ue che non ha più certezze
di Vincenzo Visco
Il
2016 si prospetta come un anno molto complicato per l’Europa che può
vedere compromessa la sua stessa esistenza. Le difficoltà economiche
permangono e la crescita risulta debole e a rischio; le crisi bancarie
in Portogallo, ma soprattutto in Italia, possono far precipitare
l’Unione in una crisi anche più grave che nel 2011. Il fatto che si
esiti ad affrontarle con misure adeguate alimenta gli istinti
speculativi dei mercati. Da questo punto di vista la decisione della
Commissione di bloccare la bad bank italiana è semplicemente
irresponsabile.
Il rischio che il referendum britannico sulla
permanenza nella Comunità possa avere un esito negativo è reale e, al
momento attuale, crescente. La eventuale uscita del Regno Unito potrebbe
determinare un effetto domino micidiale: la Scozia potrebbe ribadire la
sua volontà di restare nella Comunità e quindi dichiarare la propria
indipendenza; uscita l’Inghilterra, anche i Paesi del nord avrebbero
minori ragioni per una loro permanenza. Le spinte secessionistiche in
altri Paesi (Spagna, ma non solo) potrebbero rafforzarsi. Ila Brexit
inoltre diventerebbe più probabile se si prospettasse un’altra crisi
greca, evento del tutto possibile dal momento che il programma imposto
al Paese è apparso fin dall’inizio di difficilissima, se non
impossibile, realizzazione e di improbabile successo.
A questa
situazione va ancora aggiunta la violazione di fondamentali regole
democratiche da parte di alcuni Paesi europei: l’Ungheria di Orban
(ormai da diversi anni, senza nessuna reazione da parte della
Commissione e dei Paesi leader), e più recentemente la Polonia di
Kaczynski, nei confronti della quale le reazioni sembrano esserci e
saranno fonte di conflitto. Ambedue i governi, comunque, sono fortemente
euroscettici.
Altri Paesi come l’Austria e la Danimarca sono
stati indotti dalla pressione delle opinioni pubbliche ad assumere
posizioni radicali nella gestione del problema della immigrazione.
In
sostanza l’Europa appare sempre più balcanizzata, percorsa da spinte
nazionalistiche sempre più forti, e incapace di ogni reazione.
I
partiti più radicali di destra e di sinistra conquistano spazio in tutti
i Paesi: dalla Francia, dove solo un sistema elettorale che consente di
escludere il 25 o più per cento del corpo elettorale, e che comincia
giustamente ad essere posto in discussione, ha evitato che si
materializzasse il successo del Fronte popolare, alla Spagna (ancora in
cerca di un governo), al Portogallo.
All’origine di questo
disastro vi sono due fattori principali: la crisi economica e il
fenomeno dell’immigrazione. La crisi del 2007 ha avuto dimensioni
epocali e, come quella del 1929, rischia di avre conseguenze politiche
devastanti in Europa dove la leadership tedesca ha imposto una terapia
insensata, ispirata agli interessi di breve periodo della Germania, ma
assolutamente iatrogena per tutti gli altri, che ha spinto le economie
del continente a divergere sempri di più e a scaricare sui ceti più
deboli tutto il costo dell’aggiustamento, creando insicurezza, paura e
risentimento, e anche mettendo a rischio la ripresa mondiale affidata
solo agli sforzi degli Stati Uniti. La pervicacia con cui il ministero
delle Finanze tedesco e la Bundesbank continuano a portare avanti la
loro linea incuranti delle macerie materiali e morali che essa ha
provocato fa temere che in verità i gruppi dirigenti tedeschi (o una
loro parte) abbiano già deciso di considerare chiusa l’esperienza
dell’euro se non della stessa Unione.
Per quanto riguarda
l’immigrazione la minaccia di una vera e propria invasione dal sud è
reale, così come sono fondate le preoccupazioni delle popolazioni
europee. Tuttavia il problema non è gestibile con recinzioni e
respingimenti. Si tratta infatti di oltre 20 milioni di potenziali
migranti, di disperati che dal Medioriente e dall’Africa fuggono da
guerre, carestie, desertificazioni, collasso degli Stati, violenze
gratuite. Solo un intervento coordinato, non solo dell’Europa, ma della
comunità internazionale, orientato sia a ristabilire la pace, sia a
fornire generose erogazioni tipo piano Marshall, possono darci la
speranza di non essere invasi e travolti in un modo o nell’altro, in
tempi non brevissimi.
Stando così le cose, è evidente che ciò che
manca è la politica. Sarebbe necessaria una iniziativa di alto livello e
ad ampio ragio che fosse in grado di affrontare sia la questione
economica che quella dell’immigrazione. È anche evidente che la guida
dell’iniziativa non potrebbe che essere degli Stati Uniti e delle
Nazioni Unite, ma gran parte dei costi dovrebbe essere affrontata
dall’Europa che sarebbe il beneficiario principale dell’operazione.
Sarebbe
quindi opportuno che questi problemi venissero per lo meno posti
formalmente sul tappeto nella loro interezza ed esplicitandone il
collegamento. Nella situazione attuale le polemiche, le punture di
spillo che si scambiano i protagonisti della politica europea servono
veramente a poco.