giovedì 28 gennaio 2016

Il Sole 28.1.6
Così la corruzione «brucia» il reddito
di Claudio Gatti

Con un’economia che continua a stentare, in Italia la speranza di molti è riposta nella fine dell’austerity e nel ritorno ai grandi investimenti alla keynesiana maniera.
Chi li invoca invita tra l’altro a guardare al successo dello stimolo economico dell'amministrazione Obama che, iniettando 840 miliardi di dollari nell’economia, in pochi mesi ha bloccato l’emorragia occupazionale e fatto uscire il Paese dalla recessione.
La tesi è sicuramente valida. Il problema è che un’analisi condotta da il Sole 24 Ore dimostra che tra Stati Uniti e Italia c’è un oceano di mezzo. Ma non parliamo dell’Atlantico, bensì dell’imbarazzante gap esistente oggi tra le tempistiche e il grado di inefficienza e corruzione in materia di spesa pubblica dei due Paesi. Per questo motivo è essenziale che la nuova legge delega di riforma degli appalti pubblici si riveli veramente un punto di svolta.
Cominciamo dai tempi. Gli 840 miliardi di dollari dell’American Recovery and Reinvestment Act, o Arra, includevano il finanziamento di spese correnti, sia federali sia statali (dai costi di personale all’acquisto di beni di consumo), che a causa della crisi non sarebbe stato altrimenti possibile coprire. E qui si trattava di una semplice estensione di meccanismi già attivi. Ma i finanziamenti per gli appalti, incluso quelli a fondo perduto, raggiungevano comunque i 260 miliardi di dollari, quindi una cifra vicina al costo complessivo delle cosiddette Grandi Opere che il “9° Rapporto sullo stato di attuazione delle Grandi Opere” pubblicato nel marzo scorso dall’Ufficio Studi della Camera ha stimato in 285 miliardi di euro.
Dai dati resi noti al Congresso americano risulta che alla fine del 2010, cioè 22 mesi dopo la conversione in legge dell’Arra, solo il 4% dei contratti non era stato ancora predisposto e il 13% delle attività era già stata completata. Alla fine del 2011, queste percentuali erano passate rispettivamente al 2 e al 35%, mentre alla fine del 2012 i lavori non ancora predisposti erano appena l’1% e quelli completati il 70 per cento. Nel giro di 5 anni dalla firma dell’Arra da parte del presidente Obama il 97% dei fondi dell’Arra sono stati poi spesi.
Andiamo invece a guardare le Grandi Opere previste sin dalla Legge Obiettivo del 2001. Da un’analisi de il Sole 24 Ore emerge che nei 13 anni da allora trascorsi, il valore delle opere finora completate è pari a un misero 8,3% del totale, mentre il valore delle opere ancora in “stato di progettazione” supera il 57 per cento (vedi box).
Valichi e corridoi plurimodali che attraversano l’Appennino sono certamente ben più impegnativi dei lavori previsti dall’Arra, ma resta il fatto che i loro ritmi di progettazione sono risultati dieci volte più lenti di quelli dell’Arra. E basta leggere il suddetto “9° Rapporto sullo stato di attuazione” per rendersi conto che lentezze e ritardi non sono affatto problemi superati: «Le previsioni dell’8° Rapporto indicavano la conclusione di 54 opere entro la fine del 2014 per un costo complessivo di circa 12 miliardi, ma l'ultimazione entro tale data è stata confermata per sole 39 opere del costo complessivo di 6,5 miliardi».
E veniamo a un punto ancor più dolente: il costo di inefficienza e corruzione. L’Arra aveva incorporato lo stanziamento di 305 milioni di dollari per finanziare le attività di uno speciale organo di vigilanza, il Recovery Accountability and Transparency Board, o Ratb.
Nel rapporto finale del Ratb, presentato l’anno scorso al Congresso, si legge che nei circa sei anni di attività sono stati individuati 5 miliardi di dollari di “spese fraudolente”, pari allo 0,6% del totale dei fondi Arra e poco più del 2% dei fondi destinati ad appalti e finanziamenti.
Malcolm Sparrow, professore della Harvard Kennedy School ed esperto di corruzione ingaggiato come consulente dallo stesso Ratb, dimostra scetticismo su questa cifra: «In generale, nella lotta agli abusi della spesa pubblica il problema non sta mai in ciò che si vede ma in ciò che rimane invisibile. Le cifre del Ratb indicano i casi individuati, ma a mio giudizio questi sono solo una parte della frode e degli abusi verificatisi».
La persona che ha presieduto per i primi tre anni il Ratb, Earl Devaney, è invece convinta che quei dati siano estremamente attendibili. «Malcolm è un amico. L’ho voluto io come consulente perché lo stimo. Ma è un teorico della lotta alla frode, mentre io l’ho praticata per quattro decenni. Posso dire che in 41 anni di attività non ho mai avuto a disposizione strumenti di contrasto così efficienti. Per questo la percentuale di abusi nei fondi dell’Arra è stata così bassa» spiega a il Sole 24 Ore. Devaney si riferisce innanzitutto alla piattaforma digitale di gestione e analisi di dati creata dai suoi esperti. «Non solo eravamo in grado di tracciare ogni singolo finanziamento in ogni suo passaggio, dalle casse federali a quelle statali e quelle municipali fino a quelle del vincitore dell’appalto. Ma questa banca dati – ricercabile per progetto, lotto o addirittura codice postale – è stata messa nel sito del Ratb a disposizione di qualunque cittadino interessato». L’impatto di questa assoluta trasparenza è spiegato da Kathleen Tighe, attuale Ispettrice generale del Dipartimento dell’Educazione succeduta a Devaney alla presidenza del Ratb: «Di fatto è come se avessimo ingaggiato un esercito di “cittadini-ispettori contabili” in grado di aiutarci a rilevare frodi o problemi. E questo ci ha aiutato molto nell’attività di prevenzione e fortemente scoraggiato gli abusi».
Altro fattore fondamentale è stato l’utilizzo al fine di prevenzione di abusi di programmi analitici usualmente impiegati da servizi d’intelligence. Questi sono serviti non solo per interventi ex post, ma anche per correzioni in corsa, fatte prima che venissero completate le varie fasi di erogazione dei fondi.
E la corruzione? Abbiamo chiesto a Devaney quanti casi di funzionari pubblici coinvolti nell’erogazione dei fondi Arra sono stati scoperti dalle autorità giudiziarie federali e/o statali. «Probabilmente c’era troppa trasparenza per correre quel rischio, fatto sta che con i fondi dell’Arra non mi risulta ci siano state inchieste giudiziarie che abbiano messo in luce episodi di corruzione di funzionari pubblici», risponde Devaney.
Ben diversa, la situazione a casa nostra. Soltanto la maxi inchiesta “Sistema” della Procura di Firenze ha visto indagate 47 persone accusate di gestire illecitamente gli appalti di Expo, Terzo valico dei Giovi, tre tratte dell’alta velocità tra Milano e Padova, le Metro 4 e 5 di Milano e l'immancabile Salerno-Reggio Calabria.
Quali siano i costi della corruzione – o degli abusi – nella spesa pubblica in Italia non è però assolutamente chiaro. Da anni rimbalzano sui media due cifre attribuite alla Corte dei Conti: la corruzione fa lievitare del 40% i costi delle Grandi Opere e in tutto ci costa ben 60 miliardi all’anno. In realtà nessuna di queste stime è supportata da alcuna analisi o calcolo scientifico. «Alla Corte dei conti è impropriamente attribuita, da anni, una presunta misurazione della corruzione in Italia», ha confermato al nostro giornale il Presidente della Corte Raffaele Squitieri. «La verità è che la corruzione è un fenomeno la cui quantificazione è estremamente ardua».
Alberto Vannucci, professore di Scienze Politiche dell’Università di Pisa e autore di “Atlante della corruzione”, concorda: «Non abbiamo idea del costo della corruzione, ma è chiaro che il fenomeno è endemico. Dalle evidenze giudiziarie si può pensare che il suo ordine di grandezza sia di qualche decina di miliardi», dice a Il Sole 24 Ore. «Ma questo è solo il costo del trasferimento di risorse dalle tasche dei contribuenti a quelle delle varie cricche. Il vero costo della corruzione è ben maggiore ed è legato anche a tutte le distorsioni che essa produce nei processi di scelta delle opere pubbliche e della politica economica, oltre che della stessa classe politica e di quella imprenditoriale».
Secondo un recente studio americano sull’impatto della corruzione nelle spese degli stati americani condotto da John Mikesell, professore della School of Public and Environmental Affairs dell'Università dell'Indiana, gli stati con più condanne per corruzione risultano non solo aver speso più del necessario in servizi e lavori pubblici, ma aver anche favorito il “dirottamento” di fondi pubblici su progetti “corruption-friendly”, come le grandi opere stradali. Quegli stessi stati hanno inoltre dimostrato un’anomala propensione all'emissione di debito. Come spiega Mikesell, «funzionari pubblici corrotti sembrano avere maggiori incentivi a nascondere il peso reale della spesa pubblica attraverso il debito». Suona familiare?
Lucio Picci, professore di economia all’Università di Bologna e come Vannucci studioso di corruzione, concorda con il collega pisano nel ritenere il costo della corruzione largamente superiore al danno erariale dato dalle tangenti ed estremamente difficile da quantificare con precisione. Ma in esclusiva per il Sole 24 Ore si è azzardato a fare una stima: «Utilizzando come misura della corruzione un indice basato sulla percezione del fenomeno e una valutazione del suo danno economico complessivo ottenuta per mezzo di tecniche econometriche, il costo del differenziale tra costi della corruzione in Germania e costi in Italia è di circa 585 miliardi all’anno. Se quei fondi fossero ridistribuiti agli italiani, il loro reddito pro capite non solo aumenterebbe di 10.607 euro all’anno ma supererebbe quello dei tedeschi di circa mille euro».
Come spiega Picci stesso, quei calcoli «dipendono da ipotesi problematiche oltre che da numerose semplificazioni». E in più nascono da un presupposto irragionevole, perché per storia e cultura gli italiani non potranno mai essere come i tedeschi. Seppur paradossale, la stima dell’economista di Bologna aiuta però a riflettere sull’incredibile carico economico dato dalla nostra corruzione.
Al di là di ogni quantificazione non c’è dubbio che sia una malattia molto più diffusa in Italia che altrove nel mondo occidentale. A segnalarlo sono tutti gli indicatori esistenti. Lo dice l’indice di Transparency International, che rileva la “corruzione percepita”. E lo conferma l’European Quality of Government Index, elaborato dai ricercatori dell’Università svedese di Göteborg che, oltre alla diffusione della corruzione, prende in considerazione anche una serie di fattori inerenti alla qualità dell’attività amministrativa e colloca il nostro Paese in quint’ultima posizione in Europa, davanti solo a Grecia, Croazia, Bulgaria e Romania.
Ancora più convincenti sono gli studi comparativi sui costi delle opere pubbliche. Dall’ultimo “Rapporto della Commissione europea sulla corruzione nell’Unione” è risultato che per l’alta velocità in Italia si è speso 6 volte più della media europea.
Risultati altrettanto devastanti sono emersi da un’analisi comparativa di Ugo Arrigo, economista dell’Università Bicocca di Milano, che ha calcolato quanto hanno speso nell’ultimo decennio Francia e Italia per investimenti pubblici in infrastrutture di trasporto ferroviario. Arrigo ha calcolato che se si adottassero in Italia i parametri di spesa francesi si sarebbero dovuti spendere 8,9 miliardi all’anno. Esattamente la metà dei 17,8 miliardi che si sono invece spesi.
«A mio parere occorre cercare anche di creare una cittadinanza più consapevole e attiva. Perché più la popolazione è ignorante, più è ostaggio di una classe politica corrotta», conclude Vannucci. «Anziché sperare in una palingenesi del sistema, io spero che si attivino meccanismi e dinamiche anticorruzione dal basso. Perché quasi tutte le altre nostre patologie sono collegate alla presenza di questa devianza. Se non si incide su questo, riducendo quell’insostenibile fardello improduttivo, non se ne esce».
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