Il Sole 28.1.6
Così la corruzione «brucia» il reddito
di Claudio Gatti
Con
un’economia che continua a stentare, in Italia la speranza di molti è
riposta nella fine dell’austerity e nel ritorno ai grandi investimenti
alla keynesiana maniera.
Chi li invoca invita tra l’altro a
guardare al successo dello stimolo economico dell'amministrazione Obama
che, iniettando 840 miliardi di dollari nell’economia, in pochi mesi ha
bloccato l’emorragia occupazionale e fatto uscire il Paese dalla
recessione.
La tesi è sicuramente valida. Il problema è che
un’analisi condotta da il Sole 24 Ore dimostra che tra Stati Uniti e
Italia c’è un oceano di mezzo. Ma non parliamo dell’Atlantico, bensì
dell’imbarazzante gap esistente oggi tra le tempistiche e il grado di
inefficienza e corruzione in materia di spesa pubblica dei due Paesi.
Per questo motivo è essenziale che la nuova legge delega di riforma
degli appalti pubblici si riveli veramente un punto di svolta.
Cominciamo
dai tempi. Gli 840 miliardi di dollari dell’American Recovery and
Reinvestment Act, o Arra, includevano il finanziamento di spese
correnti, sia federali sia statali (dai costi di personale all’acquisto
di beni di consumo), che a causa della crisi non sarebbe stato
altrimenti possibile coprire. E qui si trattava di una semplice
estensione di meccanismi già attivi. Ma i finanziamenti per gli appalti,
incluso quelli a fondo perduto, raggiungevano comunque i 260 miliardi
di dollari, quindi una cifra vicina al costo complessivo delle
cosiddette Grandi Opere che il “9° Rapporto sullo stato di attuazione
delle Grandi Opere” pubblicato nel marzo scorso dall’Ufficio Studi della
Camera ha stimato in 285 miliardi di euro.
Dai dati resi noti al
Congresso americano risulta che alla fine del 2010, cioè 22 mesi dopo la
conversione in legge dell’Arra, solo il 4% dei contratti non era stato
ancora predisposto e il 13% delle attività era già stata completata.
Alla fine del 2011, queste percentuali erano passate rispettivamente al 2
e al 35%, mentre alla fine del 2012 i lavori non ancora predisposti
erano appena l’1% e quelli completati il 70 per cento. Nel giro di 5
anni dalla firma dell’Arra da parte del presidente Obama il 97% dei
fondi dell’Arra sono stati poi spesi.
Andiamo invece a guardare le
Grandi Opere previste sin dalla Legge Obiettivo del 2001. Da un’analisi
de il Sole 24 Ore emerge che nei 13 anni da allora trascorsi, il valore
delle opere finora completate è pari a un misero 8,3% del totale,
mentre il valore delle opere ancora in “stato di progettazione” supera
il 57 per cento (vedi box).
Valichi e corridoi plurimodali che
attraversano l’Appennino sono certamente ben più impegnativi dei lavori
previsti dall’Arra, ma resta il fatto che i loro ritmi di progettazione
sono risultati dieci volte più lenti di quelli dell’Arra. E basta
leggere il suddetto “9° Rapporto sullo stato di attuazione” per rendersi
conto che lentezze e ritardi non sono affatto problemi superati: «Le
previsioni dell’8° Rapporto indicavano la conclusione di 54 opere entro
la fine del 2014 per un costo complessivo di circa 12 miliardi, ma
l'ultimazione entro tale data è stata confermata per sole 39 opere del
costo complessivo di 6,5 miliardi».
E veniamo a un punto ancor più
dolente: il costo di inefficienza e corruzione. L’Arra aveva
incorporato lo stanziamento di 305 milioni di dollari per finanziare le
attività di uno speciale organo di vigilanza, il Recovery Accountability
and Transparency Board, o Ratb.
Nel rapporto finale del Ratb,
presentato l’anno scorso al Congresso, si legge che nei circa sei anni
di attività sono stati individuati 5 miliardi di dollari di “spese
fraudolente”, pari allo 0,6% del totale dei fondi Arra e poco più del 2%
dei fondi destinati ad appalti e finanziamenti.
Malcolm Sparrow,
professore della Harvard Kennedy School ed esperto di corruzione
ingaggiato come consulente dallo stesso Ratb, dimostra scetticismo su
questa cifra: «In generale, nella lotta agli abusi della spesa pubblica
il problema non sta mai in ciò che si vede ma in ciò che rimane
invisibile. Le cifre del Ratb indicano i casi individuati, ma a mio
giudizio questi sono solo una parte della frode e degli abusi
verificatisi».
La persona che ha presieduto per i primi tre anni
il Ratb, Earl Devaney, è invece convinta che quei dati siano
estremamente attendibili. «Malcolm è un amico. L’ho voluto io come
consulente perché lo stimo. Ma è un teorico della lotta alla frode,
mentre io l’ho praticata per quattro decenni. Posso dire che in 41 anni
di attività non ho mai avuto a disposizione strumenti di contrasto così
efficienti. Per questo la percentuale di abusi nei fondi dell’Arra è
stata così bassa» spiega a il Sole 24 Ore. Devaney si riferisce
innanzitutto alla piattaforma digitale di gestione e analisi di dati
creata dai suoi esperti. «Non solo eravamo in grado di tracciare ogni
singolo finanziamento in ogni suo passaggio, dalle casse federali a
quelle statali e quelle municipali fino a quelle del vincitore
dell’appalto. Ma questa banca dati – ricercabile per progetto, lotto o
addirittura codice postale – è stata messa nel sito del Ratb a
disposizione di qualunque cittadino interessato». L’impatto di questa
assoluta trasparenza è spiegato da Kathleen Tighe, attuale Ispettrice
generale del Dipartimento dell’Educazione succeduta a Devaney alla
presidenza del Ratb: «Di fatto è come se avessimo ingaggiato un esercito
di “cittadini-ispettori contabili” in grado di aiutarci a rilevare
frodi o problemi. E questo ci ha aiutato molto nell’attività di
prevenzione e fortemente scoraggiato gli abusi».
Altro fattore
fondamentale è stato l’utilizzo al fine di prevenzione di abusi di
programmi analitici usualmente impiegati da servizi d’intelligence.
Questi sono serviti non solo per interventi ex post, ma anche per
correzioni in corsa, fatte prima che venissero completate le varie fasi
di erogazione dei fondi.
E la corruzione? Abbiamo chiesto a
Devaney quanti casi di funzionari pubblici coinvolti nell’erogazione dei
fondi Arra sono stati scoperti dalle autorità giudiziarie federali e/o
statali. «Probabilmente c’era troppa trasparenza per correre quel
rischio, fatto sta che con i fondi dell’Arra non mi risulta ci siano
state inchieste giudiziarie che abbiano messo in luce episodi di
corruzione di funzionari pubblici», risponde Devaney.
Ben diversa,
la situazione a casa nostra. Soltanto la maxi inchiesta “Sistema” della
Procura di Firenze ha visto indagate 47 persone accusate di gestire
illecitamente gli appalti di Expo, Terzo valico dei Giovi, tre tratte
dell’alta velocità tra Milano e Padova, le Metro 4 e 5 di Milano e
l'immancabile Salerno-Reggio Calabria.
Quali siano i costi della
corruzione – o degli abusi – nella spesa pubblica in Italia non è però
assolutamente chiaro. Da anni rimbalzano sui media due cifre attribuite
alla Corte dei Conti: la corruzione fa lievitare del 40% i costi delle
Grandi Opere e in tutto ci costa ben 60 miliardi all’anno. In realtà
nessuna di queste stime è supportata da alcuna analisi o calcolo
scientifico. «Alla Corte dei conti è impropriamente attribuita, da anni,
una presunta misurazione della corruzione in Italia», ha confermato al
nostro giornale il Presidente della Corte Raffaele Squitieri. «La verità
è che la corruzione è un fenomeno la cui quantificazione è estremamente
ardua».
Alberto Vannucci, professore di Scienze Politiche
dell’Università di Pisa e autore di “Atlante della corruzione”,
concorda: «Non abbiamo idea del costo della corruzione, ma è chiaro che
il fenomeno è endemico. Dalle evidenze giudiziarie si può pensare che il
suo ordine di grandezza sia di qualche decina di miliardi», dice a Il
Sole 24 Ore. «Ma questo è solo il costo del trasferimento di risorse
dalle tasche dei contribuenti a quelle delle varie cricche. Il vero
costo della corruzione è ben maggiore ed è legato anche a tutte le
distorsioni che essa produce nei processi di scelta delle opere
pubbliche e della politica economica, oltre che della stessa classe
politica e di quella imprenditoriale».
Secondo un recente studio
americano sull’impatto della corruzione nelle spese degli stati
americani condotto da John Mikesell, professore della School of Public
and Environmental Affairs dell'Università dell'Indiana, gli stati con
più condanne per corruzione risultano non solo aver speso più del
necessario in servizi e lavori pubblici, ma aver anche favorito il
“dirottamento” di fondi pubblici su progetti “corruption-friendly”, come
le grandi opere stradali. Quegli stessi stati hanno inoltre dimostrato
un’anomala propensione all'emissione di debito. Come spiega Mikesell,
«funzionari pubblici corrotti sembrano avere maggiori incentivi a
nascondere il peso reale della spesa pubblica attraverso il debito».
Suona familiare?
Lucio Picci, professore di economia
all’Università di Bologna e come Vannucci studioso di corruzione,
concorda con il collega pisano nel ritenere il costo della corruzione
largamente superiore al danno erariale dato dalle tangenti ed
estremamente difficile da quantificare con precisione. Ma in esclusiva
per il Sole 24 Ore si è azzardato a fare una stima: «Utilizzando come
misura della corruzione un indice basato sulla percezione del fenomeno e
una valutazione del suo danno economico complessivo ottenuta per mezzo
di tecniche econometriche, il costo del differenziale tra costi della
corruzione in Germania e costi in Italia è di circa 585 miliardi
all’anno. Se quei fondi fossero ridistribuiti agli italiani, il loro
reddito pro capite non solo aumenterebbe di 10.607 euro all’anno ma
supererebbe quello dei tedeschi di circa mille euro».
Come spiega
Picci stesso, quei calcoli «dipendono da ipotesi problematiche oltre che
da numerose semplificazioni». E in più nascono da un presupposto
irragionevole, perché per storia e cultura gli italiani non potranno mai
essere come i tedeschi. Seppur paradossale, la stima dell’economista di
Bologna aiuta però a riflettere sull’incredibile carico economico dato
dalla nostra corruzione.
Al di là di ogni quantificazione non c’è
dubbio che sia una malattia molto più diffusa in Italia che altrove nel
mondo occidentale. A segnalarlo sono tutti gli indicatori esistenti. Lo
dice l’indice di Transparency International, che rileva la “corruzione
percepita”. E lo conferma l’European Quality of Government Index,
elaborato dai ricercatori dell’Università svedese di Göteborg che, oltre
alla diffusione della corruzione, prende in considerazione anche una
serie di fattori inerenti alla qualità dell’attività amministrativa e
colloca il nostro Paese in quint’ultima posizione in Europa, davanti
solo a Grecia, Croazia, Bulgaria e Romania.
Ancora più convincenti
sono gli studi comparativi sui costi delle opere pubbliche. Dall’ultimo
“Rapporto della Commissione europea sulla corruzione nell’Unione” è
risultato che per l’alta velocità in Italia si è speso 6 volte più della
media europea.
Risultati altrettanto devastanti sono emersi da
un’analisi comparativa di Ugo Arrigo, economista dell’Università Bicocca
di Milano, che ha calcolato quanto hanno speso nell’ultimo decennio
Francia e Italia per investimenti pubblici in infrastrutture di
trasporto ferroviario. Arrigo ha calcolato che se si adottassero in
Italia i parametri di spesa francesi si sarebbero dovuti spendere 8,9
miliardi all’anno. Esattamente la metà dei 17,8 miliardi che si sono
invece spesi.
«A mio parere occorre cercare anche di creare una
cittadinanza più consapevole e attiva. Perché più la popolazione è
ignorante, più è ostaggio di una classe politica corrotta», conclude
Vannucci. «Anziché sperare in una palingenesi del sistema, io spero che
si attivino meccanismi e dinamiche anticorruzione dal basso. Perché
quasi tutte le altre nostre patologie sono collegate alla presenza di
questa devianza. Se non si incide su questo, riducendo
quell’insostenibile fardello improduttivo, non se ne esce».
http://gradozeroblog.it