Il Sole 28.1.16
L’Unione senza guida
Il facile bersaglio della Grecia
di Adriana Cerretelli
Pressata
dall’emergenza rifugiati, l’Europa sta letteralmente perdendo la testa
tra gesti politicamente inconsulti e azioni punitive spesso fuori
bersaglio. Nell’orgia della sua acclarata impotenza non poteva,
naturalmente, non prendersela con la Grecia.
Atene è stata
minacciata ieri di espulsione da Schengen se entro maggio non riparerà
«le serie lacune» nel sistema di controllo delle frontiere esterne
dell’Unione. Come se il Dna della sua geografia parcellizzata fosse una
colpa imperdonabile quanto il mega-debito che ha accumulato.
Con
quasi tutti i governi nel panico, pungolati da un’opinione pubblica in
guerra, da estremismi e populismi in costante ascesa soprattutto dopo i
fatti di Colonia, è troppo facile prendersela con l’anello più debole di
una catena comunque disastrata per farne il simbolo delle regole di
Schengen violate, il capro espiatorio ideale di errori, miopie e egoismi
che sono collettivi. Nessuno esente.
Grecia punita e ancora una
volta umiliata «nonostante gli sforzi compiuti da novembre in poi» e
invece Turchia premiata con 3 miliardi di aiuti e visti di ingresso
nell’Ue liberalizzati per il suo presunto ruolo di gran controllore
degli oltre 2 milioni di profughi che ospita, il bacino che nel 2015 ha
riversato nell’Unione la schiacciante maggioranza dei flussi?
Ma
che razza di Europa è questa che pianifica di emarginare un suo Stato
membro per le sue indubbie carenze ma apre le braccia senza riserve a un
Paese candidato che da oltre un anno conculca senza vergogna i valori
fondamentali europei di libertà di parola e di stampa e di indipendenza
della giustizia, perseguita la minoranza curda, coltiva addirittura
traffici di petrolio e armi con l’Isis, regista del terrore in Europa e
ovunque e per questo nemico dichiarato?
Le ultime dalla cronaca
danno la misura del disastro mentale in cui galleggia l’Unione. In una
lettera al presidente della Commissione, il premier sloveno chiede la
chiusura della frontiera tra Macedonia (altro Paese extra-Ue) e Grecia.
Jean-Claude Juncker lo appoggia per fermare il flusso dei profughi verso
Nord, cioè Austria e Germania, e alleviare la pressione sui Paesi di
transito, cioè sui Balcani.
Siccome Frontex per ora non può agire
fuori dall’Unione, Juncker suggerisce accordi bilaterali tra Macedonia e
Paesi Ue per sigillare la frontiera: tagliando fuori Grecia e tutti i
profughi che continuano a invaderla: 880mila nel 2015 su 11 milioni di
abitanti. Il tutto aspettando maggio quando, salvo improbabili miracoli,
a norma di Trattato in caso di emergenze incontrollabili, Schengen
potrà essere sospesa per due anni da chi (ma non solo) ha già reimposto i
controlli alle frontiere: Francia, Germania, Austria, Danimarca, Svezia
e Norvegia.
In un’altra lettera, questa volta del leader della
Csu e della Baviera, Horst Seehofer, ad Angela Merkel scatta il ricatto:
o il cancelliere accetta un tetto annuo di 200mila profughi contro 1,1
milioni entrati nel 2015, oppure la sua politica di accoglienza
illimitata finirà davanti alla Corte costituzionale. Risposta attesa per
domani. La grande coalizione al governo ha i numeri per sopravvivere a
un’eventuale secessione della Csu. Ma la leadership della Merkel ne
uscirebbe molto più indebolita. Con inevitabili ricadute negative per la
tenuta di questa Europa allo sbando da Nord a Sud, da Est a Ovest.
Dulcis
in fundo, la Danimarca e la nuova legge che impone il sequestro ai
profughi degli averi superiori a 1.300 euro per finanziare i benefici
sociali che riceveranno nel Paese. «I cittadini danesi pagano per
riceverli, non si vede perché i rifugiati non debbano fare altrettanto»
si è difeso il ministro degli Esteri in un’audizione all’Europarlamento.
Posizione condivisa da Svizzera, Baviera e Baden-Württemberg che si
preparano a fare altrettanto.
Intanto si scopre che in realtà,
secondo dati Frontex, il 60% della marea umana che approda in Europa è
fatta di immigrati economici, di chi cioè non ha diritto all’asilo e
quindi si può espellere per legge con l’anima in pace, come se chi fugge
la miseria invece della guerra non fosse sempre un disperato. E si
scopre anche che tanti siriani, accorsi in Germania sognando a torto il
paradiso, si stanno rimettendo in marcia per tornare da dove sono
venuti.
Come dire che forse alla fine, tra misure sempre più
restrittive, centri di registrazione e di attesa più numerosi e
organizzati, respingimenti più impietosi ed efficaci, frontiere esterne
più controllate, la crisi potrebbe elidersi e in parte risolversi
gradualmente anche da sola. Potrebbe. Lasciandosi alle spalle un’Europa
più morta che viva, spogliata dell’identità di cui peraltro una volta
andava fiera nel mondo.