il manifesto 28.1.16
Primarie Usa
Bizzarro, l’Iowa sarà ancora decisivo
Uno
stato piccolo e assai poco rappresentativo dell’America nel suo
complesso. Che però grazie al meccanismo perverso dei caucus diventa il
test con cui l’establishment dei due partiti individua il nome percepito
come "giusto" per la Casa bianca
di Fabrizio Tonello
Pensate
di fare campagna elettorale in un’Italia, dal Brennero a Roma, dove
però ci sono solo tre milioni di abitanti, quasi metà dei quali vivono
in graziose fattorie. Oggi ci sono 5 gradi sotto zero ma potrebbe fare
tranquillamente –20° e i caucus, le riunioni degli elettori, si tengono
di solito nelle palestre delle scuole, generalmente poco riscaldate.
La
città più grande si chiama Des Moines e ha la stessa popolazione di
Trieste, poi troviamo Cedar Rapids, con gli abitanti grosso modo di
Latina, e Davenport, che ha esattamente lo stesso numero di cittadini di
Arezzo. Gli altri sono sparsi in 92.600 fattorie e, come avrete capito,
non ci sono città come Milano, Torino, Venezia, Bologna, Firenze e
Roma. In compenso, ci sono circa 3.700.000 buoi e mucche. Questi tre
milioni di abitanti (o meglio, i circa 250.000 di loro che partecipano
ai caucus) ogni quattro anni suscitano l’isteria della stampa mondiale,
con qualche buona ragione: sono una rotellina chiave nel bizzarro
meccanismo per eleggere il presidente degli Stati uniti.
Qui comincia l’avventura
Perché
l’Iowa è così importante? Non certo per il numero di delegati che
elegge alle convention dei due partiti dove i candidati alla presidenza
sono formalmente nominati: sono circa l’1% del totale. No, la vera
ragione è che la campagna elettorale americana formalmente inizia il 1°
febbraio, con l’Iowa e poco dopo con le primarie in New Hampshire; in
realtà è iniziata oltre un anno fa con la cosidetta «primaria
invisibile», quel lungo percorso in cui gli aspiranti alla nomination
cercano finanziatori, cercano visibilità sui media, cercano il contatto
con le lobby, si fanno vedere gli elettori.
Quindi nel 2015 i
candidati si sono sforzati di “entrare in gioco” e di costruire le
rispettive organizzazioni (in un paese con partiti deboli sono i
politici a dover mettere a punto la propria macchina organizzativa,
enormemente costosa), un requisito necessario per poter eventualmente
competere nella lunga fase delle primarie (da febbraio a giugno) e poi
nell’altrettanto lunga fase della campagna elettorale vera e propria (si
vota l’8 novembre 2016).
In Iowa non ci sono schede o macchine
per votare: si tratta di caucus, una combinazione tra la riunione di
attivisti e l’assemblea di quartiere. Gli infreddoliti cittadini
discutono e poi dichiarano la loro preferenza per uno dei candidati, in
modi non sempre precisissimi: molti meeting finiscono con un «Tutti i
sostenitori del candidato X in fondo alla sala a destra, tutti quelli
che appoggiano il candidato Y, qui a sinistra, per favore».
Non a
caso, nel 2012, i caucus furono attribuiti inizialmente a Mitt Romney,
poi dopo un nuovo conteggio i repubblicani decisero che in realtà era
stato l’ex senatore Rick Santorum a prevalere, sia pure per soli 34 voti
su 121.503 partecipanti.
Il problema è che se il vincitore viene
conosciuto settimane o mesi dopo la cosa non ha più alcuna importanza:
Iowa e New Hampshire servono per creare momentum, ovvero slancio, una
dinamica favorevole nel sostegno di attivisti, dirigenti del partito,
finanziatori. Sono i due test necessari all’establishment dei grandi
partiti per decidere chi appoggiare tra i candidati alla nomination.
Un territorio da battere palmo a palmo
Per
questo i politici che vogliono correre per la presidenza passano gran
parte dell’anno precedente alle elezioni battendo palmo a palmo uno
stato assai poco rappresentativo dell’America nel suo complesso: nel
2011 Santorum passò 266 dei 365 giorni dell’anno in Iowa; Michelle
Bachmann fece 200 visite nello stato, per ottenere un misero sesto posto
nelle primarie repubblicane.
Dal punto di vista del processo
elettorale, il ruolo assunto da Iowa e New Hampshire è estremamente
negativo. Il primo problema è che il meccanismo delle primarie, in
sequenza invece che tutte nello stesso giorno, di fatto trasforma questi
due stati in una porta stretta da cui i candidati devono
necessariamente passare: chi crede di poter saltare questi appuntamenti,
come l’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani nel 2012, si ritrova
ignorato dagli elettori, che concentrano la loro attenzione su quelli
che stampa e televisione presentano come i protagonisti del “duello”,
quasi sempre due soli candidati per ciascun partito.
Nel 2008 la
competizione tra i democratici fu tra Hillary Clinton (che vinse in New
Hampshire) e Barack Obama (che vinse in Iowa) mentre fra i repubblicani
emersero brevemente Mike Huckabee (primo in Iowa), Mitt Romney e John
McCain: alla fine fu quest’ultimo (vincitore in New Hampshire) a
prevalere.
Più sostanziale la questione che l’Iowa è uno stato
assai diverso dal resto degli Stati Uniti, per esempio le minoranze sono
fortemente sottorappresentate: gli afroamericani sono il 3,4% contro
una media nazionale del 13,2% e gli ispanici sono il 5,6% contro il
17,4%. L’agricoltura e l’allevamento sono molto più importanti che
altrove (l’Iowa sta nel cuore delle grandi praterie) e lo stato trae
grandi vantaggi dalle regole federali che prescrivono di mescolare la
benzina con l’etanolo tratto dai cereali: non a caso il popolare
governatore repubblicano Terry Branstad ha attaccato uno dei candidati,
Ted Cruz, perché sarebbe contro il business dell’etanolo.
Per vincere in novembre
L’Iowa,
quindi, è un pessimo test per avviare il processo elettorale,
soprattutto considerando che la dinamica della corsa alla presidenza
negli ultimi anni è stata dominata dai primi risultati ottenuti dai
candidati: nel 2008 la competizione tra Obama e Clinton proseguì fino a
giugno ma la regola generale è che dopo le primarie di febbraio rimane
un solo candidato per ogni partito perché i media, i finanziatori e,
soprattutto, l’establishment dei due partiti si compattano attorno al
nome percepito come quello “giusto” per vincere in novembre.
Quest’anno
potrebbe andare diversamente, ma i repubblicani sono già orientati a
restringere la scelta ai due aspiranti meglio piazzati in Iowa, Ted Cruz
e Donald Trump, benché entrambi lontani dall’establishment del partito.
Ma Trump riuscirà a tradurre in voti il suo vantaggio nei sondaggi?