il maniifesto 28.1.16
Primarie Usa
Le molte Americhe riflesse nel candidato che sfida Hillary
Radical, professore hippy, Bernie Sanders seduce con aplomb e storytelling
di Giulia D’Agnolo Vallan
Bernie
Sanders lo aveva detto fin dall’inizio: la sua non sarebbe stata una
campagna simbolica, una crociata generosa per tenere alta la causa dei
democratici progressisti e «costringere» Hillary Clinton a spostarsi a
sinistra: «Corro per vincere», aveva chiarito.
Ma non molti
avrebbero pensato che, nove mesi dopo aver annunciato la sua
candidatura, «il nonno socialista cool» (secondo la definizione di un
Op-ed del New York Times dell’autunno), si sarebbe trovato, alla vigilia
delle primarie, in quasi pareggio con Hillary Clinton in Iowa, e in
vantaggio rispetto a lei in New Hampshire.
Si è sempre trattato,
secondo una retorica adottata anche durante il dibattito democratico di
lunedì, di una battaglia tra la poesia (Sanders) e la prosa (Clinton).
Solo che la poesia del senatore del Vermont — il cui ultimo,
normanrockwelliano, spot pubblicitario scorre sulle note di America, di
Simon & Garfunkel — è risultata molto più affilata e concreta
del previsto, obbligando Hillary (oltre che a spostarsi a sinistra) ad
assumere un tono più aspirational.
In altre parole, Bernie — con i
capelli bianchi scompigliati, i modi burberi (interi articoli dedicati
al fatto che non ama baciare i bambini, stringere le mani, il Super bowl
e parlare della sua biografia: doveri classici del candidato
elettorale), l’aria da professore svagato e gli enfatici movimenti delle
braccia — si è rivelato un politico molto più astuto ed efficace del
suo collega del Vermont Howard Dean, la cui promettente, progressista,
campagna presidenziale del 2004 venne affondata da un semplice urlo
d’entusiasmo giudicato troppo potente.
In una recente intervista a
Politico, Obama ha lodato l’idealismo di Sanders ma ha anche aggiunto:
«Non dimentichiamo che Bernie è stato senatore, ha servito nella
Commissione per i veterani di guerra. È uno che sa passare delle leggi».
La
carriera politica di Bernie Sanders si è formata e concretizzata in uno
degli angoli più idiosincratici del New England, dove negli anni
Sessanta faceva il giornalista free lance con articoli che si
intitolavano The Revolution Is life Versus Death, per il periodico
alternativo The Vermont Freman, e dove assunse le sua prima carica
ufficiale nel 1981, in qualità di sindaco di Burlington, per poi
diventare deputato al Congresso (dal 1991 al 2007) e infine senatore
(dal 2007 ad oggi).
Ma le radici del suo progressismo
socioeconomico vanno probabilmente cercate nel quartiere ebraico di
Flatbush e nella Brooklyn proletaria del secondo dopoguerra dove è nato
(suo padre era un immigrato polacco che vendeva vernici) e ha studiato
(tre le altre cose, nella stessa scuola elementare della più battagliera
dei giudici nell’attuale Corte suprema, Ruth Bader Ginsberg).
Se a
tradire le sue origini non bastasse l’accento, ancor oggi fortissimo,
osservarlo in questi mesi è stato vedere emergere, dietro all’aura un
po’ hippie rural-idealista (tutta
Birkenstock-granola-ben&jerry..), l’agguerrita stoffa del
politico newyorkese — un leader appassionato, dal carisma ruvido,
visibilmente impaziente di fronte alla fuffa, che non ha paura di dire
quello che pensa o di alzare la voce quando necessario. La dice lunga
–sulla sua popolarità e sulla qualità del suo personaggio — che per
interpretare l’avatar di Sanders su Saturday Night Live si sia scomodata
una star della commedia magnificamente «intrattabile» come Larry David
(nato a Brooklyn anche lui).
La sua non malleabilità nei confronti
degli espedienti della politica ha fatto sì che il settantreenne
senatore del Vermont scegliesse di trattare il suo avversario
principale, Hillary Clinton, con più grazia e giustezza di quella
riservatale dall’intero establishment mediatico, venendole persino in
soccorso, durante il primo dibattito, quando un giornalista insisteva
troppo sulla questione dell’indirizzo privato di posta elettronica: «Gli
americani non ne possono più di sentir parlare delle tue dannate e
mail!!».
Paradossalmente, persino la «civilità» di Sanders aiuta
quelle credenziali anti-establishment che hanno contribuito a fare del
dream candidate dei sessantottini (a cui The Nation ha recentemente dato
il suo endorsement), una vera rock star tra i millennials, in questo
ciclo elettorale.
La sua popolarità sui social è infatti
straordinaria, con un frequentatissimo forum su Reddite e vari siti
(come FeeltheBern.org e il Bernie Post) che lavorano per la sua
elezione in autonomia rispetto alla macchina della campagna. Cavalcando
l’onda radical progressista che, da Zuccotti Park ha reso possibile
l’elezione di neofiti come l’ex professoressa universitaria Elizabeth
Warren, dall’autunno a oggi, Sanders ha trasformato il suo messaggio
sull’ineguaglianza economica in una metafora della piattaforma
elettorale che sta cominciando ad articolare con più precisione: sanità
gratuita per tutti (a costo di alzare le imposte), niente tasse
universitarie nei college pubblici, investimenti nelle infrastrutture e
per la protezione dell’ambiente …
Insomma, tutte cose
condivisibilissime. Arrivando da uno Stato prevalentemente bianco e
d’indole libertaria quando si tratta di pistole e affini, in vista del
post Iowa e New Hampshire, Sanders sta lavorando sul suo appeal nei
confronti degli afroamericani e a una posizione più assertiva rispetto
al controllo delle armi da fuoco.