mercoledì 27 gennaio 2016

Il Sole 27.1.16
Il tic del referendum e un Parlamento che non basta più
di Lina Palmerini

Colpisce sentire il ministro dell’Interno Angelino Alfano paventare già l’ipotesi di un referendum abrogativo prima ancora che il provvedimento sulle unioni civili entri nel vivo del dibattito al Senato. E ha colpito Matteo Renzi quando ha trasformato la riforma costituzionale – peraltro non ancora approvata – in un test di fiducia su se stesso, spostando il dibattito dalle aule parlamentari alle “piazze” mediatiche. E fa anche riflettere che oggi si voti al Senato una mozione di sfiducia contro il Governo e i conflitti di interesse del ministro Maria Elena Boschi ma che l’esito – qui – sia scontato ma nelle piazze di Arezzo, dove l’opposizione manifesta con i risparmiatori, lo sia molto meno. L’impressione, insomma, è che sulle questioni fanno la differenza sul piano popolare - e quindi politico ed elettorale – i partiti cerchino una storia e un finale altrove. È come se il Parlamento fosse diventato un luogo insufficiente a dare l’ultima parola sui grandi temi.
Prendiamo la questione degli immigrati, la mossa di alcuni Paesi europei tra cui Germania e Francia di sospendere Schengen, ripristinare i confini e scaricare sull’Italia l’onere di gestire i flussi dal mare: ecco, tutto questo sfugge ai lavori parlamentari. Magari entra nelle Camere ma attraverso un botta e risposta tra deputati, come polemica tra partiti ma senza meritare il rango che avrà, per esempio, la mozione di sfiducia di oggi. Eppure è ugualmente cruciale per i cittadini sapere – oltre che dei conflitti di interessi del ministro Boschi e di suo padre - cosa accadrà quando inizierà la bella stagione sulle coste italiane e come verranno gestiti i profughi con la nuova chiusura dei confini. Se ne parla invece fuori nelle piazze, anche attraverso gli scontri, come è accaduto ieri a Trieste e come potrebbe accadere di nuovo a Milano domani quando Salvini vedrà Marine Le Pen. I due luoghi, la piazza e il Parlamento, naturalmente possono coesistere ma il fatto che una scena – quella parlamentare – sia pressoché svanita pone una domanda su quali siano i motivi.
Il primo è senz’altro quello della delegittimazione. Per i cittadini ma perfino per chi fa politica, il Parlamento è diventato un non-luogo perché è la sede dei trasformismi, del nomadismo opportunista. Ma è un non-luogo anche perché non corrisponde più al peso che hanno oggi le forze politiche. Nel 2013 tutti i parlamentari di centro-destra sono stati eletti sotto la sigla Pdl che non c’è più, il Pd ha un gruppo che è nato con le liste di un ex segretario, Mario Monti è fuggito da Scelta civica e perfino la Lega e i 5 Stelle hanno avuto le loro piccole scissioni. In queste condizioni è chiaro che il Parlamento non ha la forza per assumere su di sé grandi temi. I principali leader non sono neppure eletti: non Renzi, non Grillo, non Salvini.
Anche per la riforma costituzionale è stato considerato politicamente necessario sin dall’inizio – al di là delle regole costituzionali prontamente attivate – il bagno popolare di un referendum. Ci si è mossi subito come se quella legittimazione fosse buona per metà e ne servisse un’altra più “vera” passando tra la gente, con una campagna elettorale e un coinvolgimento più largo di quello di un Parlamento viziato da troppi difetti di rappresentanza.