mercoledì 27 gennaio 2016

Il Sole 27.1.16
La concorrenza delle aziende di Pechino a Teheran
Quella difficile sfida al gigante cinese
di Alberto Negri

Quella tra Hassan Rohani e Matteo Renzi in Campidoglio è stata una conversazione franca, condotta tutta in inglese, senza intermediari. E Renzi non ha rinunciato a ricordare i legami familiari di Rohani con l’Italia.
 il presidente iraniano però è stato assai chiaro con il capo del governo: «Servono soft loans, crediti favorevoli e garanzie bancarie, abbiamo bisogno di soldi per chiudere i contratti con l’Italia». In poche parole i fondi li portiamo noi e poi ci saranno, e già ci sono, grandi prospettive in Iran. «Li avrete», è stata la risposta di Renzi. Questo questo vale per gli italiani e per tutti gli altri partner europei, francesi compresi: senza però farsi troppe illusioni.
Negli anni delle sanzioni il posto dell’Europa in Iran è stato occupato da altri e da un gigante al quale sarà complicato se non quasi impossibile fare concorrenza: la Cina.
L’Iran guarda a Ovest ma va a Est. Le cifre sono da capogiro e le conseguenze geopolitiche di grande rilevanza non solo per il Medio Oriente ma per una vasta aerea di mondo che va dal Mediterraneo all’Asia centrale. L’eurocentrismo, ogni giorno che passa, subisce contraccolpi non solo politici ma anche economici.
Il presidente cinese Xi Jinping si è recato a Teheran per aprire un nuovo capitolo nei rapporti già intensi con Pechino. Sono stati firmati 17 protocolli di intesa per un controvalore di 600 miliardi di dollari entro i prossimi 10 anni, accordi che vanno dalla politica all’economia, alla sicurezza. La visita di Xi assume un rilievo particolare perché la Cina era già il principale cliente del petrolio iraniano sotto sanzioni per il controverso programma nucleare di Teheran. Ora che sono state revocate le esportazioni verso Pechino sono destinate ad aumentare ulteriormente. La Cina intende investire massicciamente nel necessario ammodernamento del sistema di estrazione, trasporto e raffinazione del greggio di Teheran, ormai obsoleto a causa delle sanzioni.
L’interscambio commerciale al 2014 era già a quota 54 miliardi di dollari e secondo i media iraniani un terzo delle esportazioni di Teheran è diretto verso Pechino. Nei primi 11 mesi del 2015 la Cina ha importato quasi 25 milioni di tonnellate di greggio e a continuato ad investire al confine con l’Iraq. Su questa frontiera i padroni sono i Pasdaran con le loro fondazioni: si investe nell’immobiliare, nell’energia, nelle infrastrutture, in campo agroalimentare, nei porti.
E c’è dell’altro. L’Iran è diventato l’hub della One Belt One Road (Obor) cinese, una rete di infrastrutture regionali, soprattutto di ferrovie ad alta velocità, destinata a convogliare gli investimenti cinesi in Asia centrale.
Questi rivolgimenti si erano già profilati a Ufa, nella profonda provincia russa, dove nel luglio scorso andò in scena un doppio summit, quello dei Paesi emergenti del Brics e dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Sco). Insieme con l’Unione euroasiatica, la Sco potrebbe inglobare nel suo mercato comune futuro anche realtà non ex sovietiche, l’India, il Pakistan e lo stesso Iran e coronare i megaprogetti cinesi di Nuova Via della Seta
Dal summit di Ufa la geopolitica dell’Eurasia rilanciava sulla scena il triangolo Mosca-Pechino-Teheran che ha un carattere strategico per l’Iran. Mosca e Teheran in questi anni, nonostante alcune diffidenze reciproche, sono diventati alleati per forza. In funzione non solo anti-americana ma anche per proteggere i loro alleati nel Levante come il regime siriano di Bashar Assad. Fu proprio Putin insieme a Papa Bergoglio a frenare Obama dall’idea di bombardare Assad nel 2013 per l’uso di armi chimiche. Sono lontani i tempi in cui l’Imam Khomeini inviava una lettera a Gorbaciov chiedendogli di convertirsi all’Islam: oggi Mosca vede nell’Iran e nel mondo sciita una sorta di antemurale da opporre all’avanzata del radicalismo sunnita nel Caucaso.
E la Cina fornisce ai Pasdaran oltre il 40% delle forniture militari, cui bisogna aggiungere quelle di Mosca. L’Iran è ancora un Paese in guerra, non dimentichiamolo. Chi non lo ha scordato è sicuramente Ali Khamenei, la Guida Suprema, che ieri ha incontrato il presidente cinese - evento di solito non scontato - affermando che «l’Iran non dimenticherà mai l'aiuto dato da Pechino a Teheran durante gli anni delle sanzioni: ci fidiamo più di voi che dell'Occidente».
Certo l’Iran è una partita aperta soprattutto per l’Italia: l’accordo con gli Usa e lo scambio di prigionieri con la repubblica islamica ha portato un piccolo regalo ma significativo. La Sepah Bank dei Pasdaran, unica banca iraniana in Italia, è stata tolta della lista nera americana. Fare affari si può ancora.