il manifesto 27.1.16
Croazia
Più a destra di Orbán nasce il governo di Timor Oreskovic
di Luka Bogdanic
Lo
scorso venerdì, dopo 11 ore di dibattito parlamentare e 30 giorni di
crisi politica a seguito dell’esito senza vero vincitore delle ultime
elezioni, la Croazia ha un governo: l’esecutivo di destra guidato da
Tihomir Oreskovic, manager croato-canadese di un’azienda farmaceutica
israeliana.
È un tecnico non eletto, ma scelto come nome di
compromesso tra i partiti di Hdz e del Most (il Ponte). Oreskovic parla
male il croato, tanto che in Parlamento, invece di tenere un discorso
politico, ha preferito presentare il suo programma in PowerPoint. Il suo
principale campo d’interesse sarà l’economia, mentre il potere politico
sarà nelle mani Tomislav Karamarko, presidente di Hdz e vicepremier,
già capo dei servizi segreti. Solo in parte il potere sarà diviso con
Bozo Petrov, leader di Most (debole lista di amministratori locali, su
cui gira voce di legami forti con l’Opus Dei).
Il Ponte, nelle
elezioni aveva presentato un programma di sonore promesse animate da
spirito antipolitico, alle quali in parte ha già rinunciato in cambio di
poltrone ministeriali. Il vero scandalo del nuovo governo però, non è
tanto il primo ministro che paragona lo Stato all’azienda, ma i ministri
le cui dichiarazioni spaventano. Come ad esempio quelle del neoministro
della cultura Zlatko Hasanbegovic, ricercatore di storia (esperto di
vittime del comunismo) e fervido sostenitore del revisionismo, che ha
pubblicamente negato che l’antifascismo sia un valore costituzionale
fondante, e nel passato si è già mostrato come cultore di Ante Pavelic
(duce dalla Croazia tra il 1941–45) e nemico dei matrimoni gay. Il
P.E.N. Croazia e l’Associazione dei giornalisti, hanno lanciato una
sottoscrizione pubblica contro la nomina di Hasanbegovic, ma tutto è
stato invano.
Secondo il ministro, l’unico valore fondante della
Croazia sarebbe la guerra patriottica degli anni Novanta. Si tratta di
un’idea condivisa dal neoministro dei veterani di guerra, il quale anche
dopo aver assunto l’incarico, ha sostenuto l’idea di compilare e
pubblicare un elenco di tutti i traditori degli interessi nazionali
durante la guerra patriottica. Di fatto, un invito alla lapidazione
pubblica dei “nemici della patria”. La proposta è ufficialmente
osteggiata dal Petrov, ma delle sue dichiarazioni c’è poco da fidarsi,
vista la repentinità con cui le cambia. Tutto questo avviene con la
benedizione dai preti locali, chiamati dai neoministri a lavare con
l’acqua santa i ministeri e a scacciare gli spiriti maligni dei
precedenti inquilini.
Così, tra benedizioni, un premier non eletto
e che non capisce molto della cultura del paese che è stato chiamato a
governare, con appena 3 donne nel governo (di cui un’ex suora), e tra
una kermesse di grida nazionaliste, la Croazia ha lanciato una sfida
all’Ungheria di Orban per ottenere il primato del governo più a destra
della regione.
Però, ciò che differenzia la situazione croata, è
che la destra non ha vinto le elezioni, ma al potere è arrivata con
l’aiuto di un gruppo di ex seminaristi e chierichetti, assai forti nelle
comunità di provincia.
Se la democrazia è l’impegno di costruire
una comunità politica tra cittadini con diverse idee, capaci però di
convenire pur dissentendo, è evidente che la democrazia in Croazia è in
pericolo. Inoltre, va ricordato che una delle promesse elettorali della
destra era di assicurare le frontiere contro i flussi migratori. È
evidente che qualora la promessa si realizzasse, le sue conseguenze
sarebbero molto più ampie e riguarderebbero non solo la regione, ma la
stessa Unione Europea.