Il Sole 22.1.16
Renzi-Verdini, i «costi» di un patto sia nel Pd che in vista del referendum
di Lina Palmerini
Ieri,
nelle votazioni per il rinnovo delle commissioni parlamentari al
Senato, tre vicepresidenze sono andate a senatori di Denis Verdini.
L’operazione si può riassumere in sintesi così: Verdini e il suo gruppo
Ala hanno garantito i voti a Renzi per portare a casa la riforma
costituzionale - e dunque neutralizzare il dissenso della minoranza Pd -
ma ora arriva il conto. Ecco appunto, chi paga il conto? Certamente il
Pd. E alla vigilia di una campagna elettorale per le amministrative
potrebbe essere salato. Nel senso che a livello di poltrone tre
vicepresidenze hanno poco peso ma, a livello di voti che potenzialmente
si possono perdere, la cifra potrebbe essere più alta.
Si sa che
ciò che più interessa Renzi sono i consensi popolari ed è lì che
potrebbe essere versata una rata di quel conto. Perchè finora Verdini,
la sua storia, le sue operazioni hanno avuto un giudizio netto dal Pd e
dai suoi elettori, non solo politico ma anche morale. E infatti pure il
premier fece una certa fatica a spiegare il patto del Nazareno in cui il
vero bersaglio non era solo Berlusconi ma proprio il politico
fiorentino che a quel tempo era un fedelissimo del Cavaliere. Ecco, sin
da allora Renzi ci teneva a far sapere che un’alleanza per le riforme
non mescola storie politiche e non confonde i confini, ma oggi? Oggi
dopo aver beneficiato di voti decisivi e aver ricambiato con le tre
vicepresidenze, è legittimo che gli elettori del Pd si chiedano se quei
confini siano ancora così netti.
Domande che a ridosso delle
amministrative non giovano soprattutto se in alcune città si fa fatica a
fare alleanze con la sinistra. È chiaro che i fatti di ieri regalano
uno spazio politico e chi sarà capace di prenderselo lo farà ai danni
del Pd. Che sia Sel o i 5 Stelle, l’argomento dello scambio con Verdini
potrebbe scavare ulteriormente nelle perplessità di chi sente il nuovo
Pd troppo sbilanciato a destra. Se con le misure economiche Renzi parla
già al mondo dei moderati, con questa operazione potrebbe allontanare i
voti più a sinistra del Pd. È una possibilità.
L’altro conto è con
il partito e con la minoranza interna. Ieri Pierluigi Bersani e Roberto
Speranza hanno criticato l’operazione con Verdini, l’hanno motivata e
l’hanno bocciata. È chiaro che è incompatibile con il loro modo di fare
politica ma – allo stesso tempo – la scelta di Renzi rafforza la loro
posizione non solo dentro il partito ma nell’elettorato del Pd. Se fare
opposizione all’Italicum o ad alcune norme della riforma costituzionale
era qualcosa che pochi potevano capire, mettersi contro uno scambio con
Verdini ha decisamente un’altra presa sugli elettori. E definisce meglio
un’area in vista di una battaglia congressuale per le primarie perché –
questa – diventa una differenza identitaria con i renziani. Non una
questione di emendamenti al premio di maggioranza ma qualcosa che
appartiene al Dna del partito e che viene prima di tutto.
Dai
renziani si sente dire che Verdini non è entrato in maggioranza e che
mai entrerà nel Pd ma non basta perché quello che è accaduto dà comunque
la sensazione che si sia dischiusa una porta. Perché da ieri quei voti
che Verdini dava alla maggioranza non sono più a titolo gratuito. La
domanda è: ci saranno altri scambi? Anche su questo si giocherà la
battaglia referendaria sulla riforma costituzionale. E bisognerà vedere
se tiene la spiegazione di Renzi di aver fatto prima il patto del
Nazareno e poi il patto con Verdini per dare le riforme al Paese e
impedire che un domani possano esserci ancora maggioranze spurie, contro
natura. Forse il premier ha regalato un argomento ai comitati del No.
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Lina Palmerini