giovedì 21 gennaio 2016

Il Sole 21.1.16
Vienna ripristina i controlli e fissa un tetto agli ingressi
La crisi dei migranti. Juncker lancia l’allarme sul ritorno delle frontiere
Europa, se salta Schengen danni per 3 miliardi all’anno
di Beda Romano

STRASBURGO L’emergenza provocata dal continuo arrivo di migliaia di rifugiati dal Medio Oriente sta provocando in Europa nuova pericolosa incertezza politica. I Ventotto sono sempre più combattuti tra la tentazione di sigillare le frontiere nazionali, seguendo l’esempio dell’Austria, e il desiderio di difendere il mercato unico. Ancora ieri, a Strasburgo, il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha ricordato i pericoli economici insiti in una graduale disintegrazione dell’Area Schengen.
«Un Paese dopo l’altro, stiamo chiudendo le frontiere. Una volta che tutte le frontiere saranno chiuse, ci renderemo conto di quanto i costi siano enormi», ha detto Juncker davanti al Parlamento europeo riunito in sessione plenaria. «Se chiudiamo le frontiere, se il mercato unico inizia a soffrire, allora un giorno inizieremo a chiederci se abbiamo bisogno di una moneta unica, in assenza del mercato unico e della libera circolazione delle persone».
Secondo l’ex premier lussemburghese, la reintroduzione delle frontiere nell’area Schengen avrebbe costi economici pari a tre miliardi di euro all’anno. La cifra è bassa rispetto a un commercio intra-europeo pari a 2.800 miliardi all’anno. Eppure, 1,7 milioni di lavoratori attraversano le frontiere ogni giorno. Inoltre, i viaggi d’affari sono 24 milioni ogni anno; i trasporti merce su strada, sempre a cavallo dei confini nell’area Schengen, sono 57 milioni, sempre all’anno.
L’avvertimento di Juncker è giunto dopo che nel fine settimana il Governo austriaco, che già aveva di recente reintrodotto i controlli alle frontiere, ha annunciato una ulteriore stretta. Attualmente, sono sei i Paesi che hanno reintrodotto le verifiche d’identità al confine per meglio contrastare l’arrivo dei profughi. La Commissione ha confermato ieri che nei prossimi mesi, in marzo probabilmente, presenterà l’attesa riforma del principio di Dublino.
L’attuale testo legislativo prevede che il Paese di primo sbarco sia oggi quello di accoglienza del rifugiato. Nei fatti, il principio è già oggetto di eccezioni. Da un lato, perché la Germania ha accolto profughi arrivati dal Sud Europa, disattendendo le regole. Dall’altro perché i Ventotto hanno accettato l’idea del ricollocamento di 160mila profughi arrivati in Italia e in Grecia. L’operazione di redistribuzione, tuttavia, non sta avendo luogo, scontrandosi contro la ritrosia di molti Paesi membri.
Riformare il principio di Dublino è ormai urgente, anche per risolvere l’attuale vuoto giuridico. L’obiettivo della Commissione è di presentare una proposta attraverso la quale redistribuire l’onere dell’accoglienza tra tutti i Paesi d’Europa. La Germania sta flirtando con l’idea di introdurre unilateralmente quote massime di rifugiati, escludendo tout court i cosiddetti migranti economici. L’Austria lo ha già annunciato: 37.500 profughi quest’anno, in calo graduale fino a 25mila nel 2019. In assenza di un accordo a livello comunitario, il rischio è di provocare un effetto domino, con il rifiuto all’ingresso di persone che verrebbero respinte via via verso il Sud del continente.
La riforma del principio di Dublino è tema ostico, tanto che ieri lo stesso Juncker ha detto che il prossimo vertice dei Ventotto in febbraio non dovrebbe occuparsi più solo del negoziato tra Londra e Bruxelles per ridefinire il rapporto tra il Regno Unito e l’Unione, ma anche dell’emergenza rifugiati. Dal canto suo, il premier olandese Mark Rutte, che ha appena assunto la presidenza semestrale dell’Unione, ha spiegato a Strasburgo, che l’Europa ha sei-otto settimane per ridurre il numero di rifugiati in arrivo sul continente.
In mancanza di successo su questo fronte, ha detto, «dovremmo pensare a un piano b», senza dare ulteriori precisazioni. «Per ora, tuttavia, dobbiamo cercare di far funzionare gli strumenti che già abbiamo». Rutte si è così riferito all’accordo di collaborazione con la Turchia, ai centri di accoglienza in Italia e in Grecia, alla proposta comunitaria di guardie frontiera europee, all’operazione di ricollocamento. A questo proposito, il premier olandese ha precisato che «è cruciale mettere a punto tutti gli hotspots: l’Italia e la Grecia sinora sono state troppo lente, ma ora stiamo registrando progressi».