Il Sole 20.1.16
Libia
Tre emergenze da risolvere prima della svolta
di Alberto Negri
Libia,
primo passo verso un’intesa ma anche ultimo atto. Questo governo, se
mai si insedierà davvero, è l’ultima chiamata prima del caos e di un
possibile intervento internazionale. Anzi secondo molti osservatori la
domanda non è tanto se ci sarà un intervento ma quando e come. Le
emergenze sono tre: la sicurezza in primo luogo -come e da chi verrà
imposta tra Tripoli e Tobruk - la gestione del petrolio e quella della
Banca centrale, che con riserve ormai dimezzate da una crisi prolungata
tiene in piedi i governi rivali e le fazioni concorrenti di Cirenaica e
Tripolitania.
La guerra tra milizie è alimentata essenzialmente da
queste risorse che si stanno assottigliando: Gheddafi aveva lasciato un
tesoro soltanto nelle casse della Banca centrale di 150 miliardi di
dollari, ora siamo intorno ai 70, divorati in un paio d’anni dalla
gestione corrente, cioè dalla distribuzione di fondi ai due governi di
Tripoli, Tobruk e ad alcune altre amministrazioni locali importanti.
L’Isis arriva al quarto posto delle emergenze, pur essendo in testa alla
preoccupazione generale, perché senza un’intesa su questi punti
essenziali non sarà possibile neppure una vera guerra al Califfato. Nel
senso che aiutare i libici - ma quali? - non sarà sufficiente e la
battaglia dovrà essere fatta con un’azione internazionale e non solo con
i raid aerei come nel 2011 contro Gheddafi. Sarà comunque assai
complicato imporre un comando unificato alle milizie: il generale
Khalifa Haftar, per esempio, sostenuto dall’Egitto di Al Sisi ma anche
dai raid dei caccia Rafale venduti dalla Francia al Cairo, è contrario
all’idea di cedere i suoi poteri di comandante della Cirenaica.
L’Italia
non può comunque restare fuori perché la guerra a Gheddafi fu una
sonora sconfitta del Paese che con il dittatore libico aveva firmato
soltanto pochi mesi prima accordi di grande rilevanza economica,
energetica e nel campo della sicurezza per la gestione dei flussi
migratori. La partecipazione italiana ai raid anti-Gheddafi fu nel 2011
un passo forzato dalle decisioni altrui, prese su motivazioni che
avevano ben poco a che vedere con l’intervento umanitario contrabbandato
dal presidente francese Nicolas Sarkozy.
Oggi sappiamo i
retroscena che spinsero la Francia in guerra. In una delle tremila mail
inviate a Hillary Clinton, allora ministro degli Esteri Usa - e rese
pubbliche dal dipartimento di Stato - in data 2 aprile 2011 il
funzionario Sidney Blumenthal rivela che Gheddafi era in procinto di
sostituire il Franco Cfa, utilizzato in 14 ex colonie francesi, con
un’altra moneta panafricana. In questo messaggio è esposto un
dettagliato resoconto delle riserve di oro e argento del raìs libico
(140 tonnellate). Alla base della svolta monetaria di Gheddafi c’era
l’obiettivo di rendere l’Africa francofona indipendente da Parigi: le ex
colonie hanno almeno il 65% delle loro riserve depositate in Francia.
Poi naturalmente c’era l’obiettivo di colpire le concessioni italiane di
petrolio dell’Eni, cui Parigi ha sempre puntato. Così stanno le cose e
dobbiamo tenerne conto: se andiamo in guerra contro l’Isis in Libia non
lo facciamo con un alleato ma con un concorrente. La mail di Blumenthal
aveva un titolo significativo “France’s client and Qaddafi’s Gold”.
Quindi se l’Italia manda i soldati in Libia dovrà fare attenzione non
solo ai jihadisti - sia laggiù che in patria - ma anche alla cassa.